L'IMPOSSIBILE INCONTRO DI UN PADRE E UNA FIGLIA NEL DESERTO CREATO DALLA "ROBA"
Il protagonista del romanzo
Mastro don Gesualdo di
Giuseppe Verga è Gesualdo Motta, un modesto operaio che a costo di enormi sacrifici
riesce a raggiungere una condizione di proprietario terriero e uomo d’affari.
La sua scalata però viene interrotta da una serie di episodi che lo porteranno
ad una vita piena di delusioni e amarezze, che cominciano con il matrimonio con
Bianca Trao, appartenente ad una famiglia nobile ma economicamente rovinata,
dalla quale avrà una figlia, Isabella, nata presumibilmente dalla relazione di
Bianca con il cugino don Ninì. Si delineano due principali rapporti padre
figlio: quello tra Gesualdo ed il padre mastro Nunzio e quello con la figlia
Isabella. Inoltre si sviluppa parallelamente anche la vicenda tra la baronessa
Rubiera e suo figlio don Ninì.
Il primo rapporto non è importante: il padre è
infatti una figura comica; Gesualdo lo rispetta, ma non gli dà molta
importanza. Mastro Nunzio è molto testardo: vuol mettere le mani dappertutto e
non sa fare che disastri; poi il figlio deve correre a pagare e a riparare,
mentre lui griderà che gli si manca di rispetto.
Il secondo rapporto è più
complesso. Infatti buona parte del romanzo si sviluppa sul motivo dell’educazione
di Isabella. Gesualdo, non potendo avere altri figli dalla moglie Bianca, oramai
debilitata dalla tisi, vuole almeno che sua figlia possieda tutto ciò che manca
a lui, essere nobile di nome e di fatto. Quel non guardare a nessuna spesa dopo
averla staccata a cinque anni dalla madre e messa nel collegio di Maria, dove
vanno le figlie dei "ricchi" del paese; quel volerla far stare contenta con
dolci, libri e regali di ogni genere e prezzo; quel volere che tutto ciò che
hanno le figlie dei signori, anche sua figlia lo abbia, determinano lo sviluppo
in Isabella di un senso di superbia e di orgoglio sempre più presuntuoso, e
fanno nascere fra lei e le compagne invidie, litigi e dispetti. Questo accresce
lo sconforto in Gesualdo che aumenta sentendo la figlia sempre più lontana da
sé. Sono tante delusioni per Gesualdo che vede la figlia farsi sempre più tale
e quale sua madre e sente abbattersi su di sé la cattiva sorte anche là dove
si sarebbe aspettato conforto e riposo.
Nonostante tutto ciò il suo carattere
forte lo porta a sopportare e a non ribellarsi. Così, del resto, aveva fatto
lui con suo padre, e così fa ora sua figlia con lui. Lo sconforto del padre
aumenta quando Isabella si innamora del cugino Corrado La Gurna: un amore che
ben presto diventa intenso e inutili sono le sfuriate di Gesualdo, deciso a dare
a sua figlia un marito nobile. Le pene di Gesualdo diventano sempre più acute:
oltre alla malattia della moglie anche il disonore per il parto prematuro della
figlia.
Isabella non ha un buon rapporto con il padre che la considera e la
tratta come una perla rara, perché è erede del patrimonio e quindi è
considerata un buon partito. La ragazza è un po' vanitosa ma in fondo buona e
forse un po' ingenua a causa del padre. La madre le vuole molto bene anche se
non la capisce, solo la zia riesce a tirala un po' su di morale. Cerca nel
marito, il fratello della sua amica Marina, un motivo di felicità e di distacco
dal padre, che però disprezza la figlia perché il genero sperpera tutto il
denaro ereditato in feste ricche e sfarzose.
Nonostante gli innumerevoli sforzi
Gesualdo non riuscirà mai a migliorare il rapporto con la figlia Isabella,
nemmeno in punto di morte quando, deciso a parlarle per affidarle i figli avuti
da Diodata, dopo un primo momento di tenerezza, finisce nuovamente col ritornare
sui debiti, raccomandandole la sua "roba": "Le
prese le tempie fra le mani, e le sollevò il viso per leggerle negli occhi se l’avrebbe
ubbidito, per farle intendere che gli premeva proprio, e che ci aveva quel
segreto in cuore. E mentre la guardava, a quel modo, gli parve di scorgere anche
in lui quell’altro segreto, quell’altro cruccio nascosta, in fondo agli
occhi della figliuola. E voleva dirle altre cose, voleva farle altre domande, in
quel punto, aprirle il cuore come al confessore, e leggere nel suo. Ma ella
chinava il capo, quasi avesse indovinato con la ruga ostinata dei Trao fra le
ciglia, tirandosi indietro, chiudendosi in sé, superba, coi suoi guai e il suo
segreto. E lui allora sentì di tornare Motta, com’essa era Trao, diffidente,
ostile, di un’altra pasta".
Anche il rapporto tra la
baronessa Rubiera e don Ninì è antitetico. I Rubiera sono i parenti ricchi dei
Trao, che solo quando vedono insidiato il prestigio e l'onore della famiglia
sono disposti a concedere favori. La baronessa ci viene presentata come una
donna ricca, ambiziosa e molto attaccata alla "roba", proprio come don
Gesualdo. Il figlio, don Ninì, è invece il tipico bighellone di paese,
spensierato ed irresponsabile, a cui piace divertirsi senza pensare troppo alle
difficoltà della vita. Il contrasto con la madre è quindi inevitabile; la
baronessa si sente insidiata dalle pretese del figlio ed è tormentata dall'idea
che il suo patrimonio venga dissipato, mentre don Ninì si sente oppresso dalle
imposizioni della madre.
Il loro rapporto si esaspera ulteriormente con la
relazione del figlio con Bianca Trao: i Trao vorrebbero imporre a don Ninì il
matrimonio con Bianca, pensando così di poter migliorare la loro posizione
economica in grave crisi. Ma l'energica madre di Ninì non è di questa
opinione: i suoi antenati non fecero suo figlio barone e "non si
ammazzarono a lavorare perché la loro roba poi andasse in mano di questo o di
quello". La baronessa vede ancora peggio la relazione del figlio con la
"commediante", tanto più che per soddisfare la sua nuova amante
questi arriva ad indebitarsi con Gesualdo. Quando ne viene al corrente la
baronessa, scoppia l'inevitabile lite con il figlio, che le provoca una paralisi
e la perdita della parola. Per don Ninì la situazione precipita: è costretto a
sposare Donna Giuseppina Alosi, che gli fa mettere la testa a posto, anche se
forse rimane sempre lo stesso.
Dunque si hanno altre due vittime
della roba: l'equilibrio di affetti e di valori certi crolla con l'avidità dei
protagonisti, che si preoccupano esclusivamente di tutelare il loro patrimonio e
di inseguire il mito della ricchezza e dell'onore familiare. Proprio questa
irrequietudine che prende il sopravvento li opprime, rendendoli impotenti
vittime degli stessi beni che hanno accumulato con grande sacrificio e che,
nonostante gli sforzi e le rinunce che per essi sono stati disposti a fare,
finiscono col perderli, per tornare ad una situazione ancor peggiore di quella
di partenza, in una condizione di totale solitudine e straniamento. Questo perché
la ricchezza nella nuova concezione dell'epoca non è più un mezzo per
procurarsi la felicità, ma il fine stesso dell'esistenza: nel mondo borghese
della lotta di tutti contro tutti, si afferma la concezione darwinistica della
sopravvivenza, impersonificata dalla spregiudicatezza di don Gesualdo e
dall'orgoglio della baronessa Rubiera.
Relatori: Alessandro Meozzi, Enrico Pellegrini, Elia Tavernelli.