Scheda storica del primo Novecento in Italia

(rapporto padri e figli)

Nel primo novecento l’Italia, pur rimanendo un paese sostanzialmente agricolo, inizia un processo di evoluzione animato da una grande spinta industriale: significative, a questo riguardo, sono le date della fondazione della FIAT (1899), e quella dell’esposizione universale di Torino (1911). Lo sviluppo industriale comporta ovviamente la costituzione di un proletariato cittadino che si avvia a diventare una forza sociale organizzata e consapevole, anche grazie all’attività di Antonio Gramsci, che contribuì allo sviluppo della classe operaia non solo in senso organizzativo ma anche in senso culturale. Contemporaneamente all’aumento dell’emigrazione interna e di quella oltre oceano, si ha un forte insediamento industriale, riguardante soprattutto però il “triangolo” industriale costituito da Milano, Genova e Torino, mentre nel resto d’Italia e in particolar modo al Sud si determinano sacche profonde di sottosviluppo e di miseria. Per risolvere questi problemi l’Italia intraprese una politica imperialistica e coloniale che era già stata avviata negli ultimi decenni dell’Ottocento con il tentativo di conquistare l’Abissinia; ma le speranze si erano miseramente infrante prima con il massacro di un intero contingente italiano a Dogali, in Eritrea (1887), e poi con la sconfitta di Adua (1896). 
Migliori risultati otterrà la ripresa dei tentativi coloniali agli inizi del nuovo secolo, quando l’Italia s’impadronirà della Libia (1911-12); questa impresa rappresentò tuttavia un successo più di facciata che una vera alternativa ai problemi sociali, che sembravano irrisolvibili. Infatti già negli ultimi anni dell’Ottocento, a causa di una crisi economica e agraria, si erano scatenati gravi tumulti. Le insurrezioni del 1898 a Milano e del 1892 da parte dei “fasci dei lavoratori” in Sicilia erano state soffocate dal governo nel sangue. Dopo l’assassinio di Umberto I, ucciso a Monza nel 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci, il nuovo re Vittorio Emanuele III, dovendo tener conto dei risultati delle elezioni politiche del 1899 che premiavano liberali e socialisti, incaricò di formare il nuovo governo il liberale Giuseppe Zanardelli. Questi chiamò al ministero dell’Interno Giovanni Giolitti, che gli successe nel 1903. 
La gestione giolittiana si protrasse sino al 1912. Egli si fece promotore di una politica di equilibrio, basata sull’accordo tra le classi, ed ottenne così da un lato il determinante appoggio del partito socialista, in cambio di riforme del sistema elettorale e di concessioni economiche a sindacati e cooperative, e dall’altro quello dei cattolici, con i quali definì il patto Gentiloni, che gli permetteva di ottenerne l’appoggio politico. Sotto il governo Giolitti si registrò così un generale miglioramento delle condizioni economiche e un notevole progresso in tutti i campi della scienza e della tecnica, ma, nonostante tutto, finì per aggravarsi ancora la questione meridionale e l’emigrazione toccò livelli mai visti prima. Il malcontento diede vita da una parte alle tendenze della destra e dei nazionalisti, che trovavano appoggio soprattutto dalla classe medio-borghese e dalla classe intellettuale, dall’altra a forti tendenze estremiste e massimaliste dei socialisti che spingevano alla reazione e alla lotta. Ciò contribuì in maniera decisiva alla destabilizzazione del governo giolittiano, che venne definitivamente meno con la guerra di Libia; questo evento infatti portò i massimalisti alla maggioranza all’interno del partito socialista, e quindi alla radicalizzazione della lotta politica. 
Giolitti, vistosi negare qualsiasi appoggio esterno, fu costretto a dimettersi dal governo, che passò nelle mani di Antonio Salandra. La prima guerra mondiale scoppiò proprio durante questa crisi, che finì per influenzare l’intervento italiano: il re e il governo infatti cedettero alle richieste di nazionalisti e interventisti ed entrarono in guerra non con la Triplice Alleanza ma con le potenze dell’Intesa. La guerra comportò un gravissimo dispendio di energie materiali e produttive, un’ingentissima perdita di vite umane, ma soprattutto, nonostante le aspettative, un aggravarsi dei problemi della società italiana. Già durante la guerra la classe operaia si era ribellata, chiedendo apertamente il ritorno alla pace; nel 1917 in particolare gli operai avevano proclamato scioperi e agitazioni. 
Irrisolta era inoltre la questione territoriale del confine orientale (vedi la città di Fiume) e si apriva il problema dei reduci che, rientrati alle loro case, incontravano spesso non poche difficoltà nel reinserimento nella vita civile e nel mondo del lavoro, anche a causa delle impoverite condizioni economiche. 
L’aggravarsi di questi problemi portò ad un’esasperazione dei contrasti sociali, che né i deboli governi del dopoguerra né il ritorno di Giolitti nel 1920 riuscirono a risolvere. La politica si era oramai irrimediabilmente deteriorata nello scontro tra forze estreme; in particolare i socialisti, incerti tra massimalismo e riformismo, andarono incontro a una nuova scissione, quando i marxisti più radicali, guidati da Gramsci, si allontanarono per dar vita al Partito Comunista Italiano. 
Dalle fila del socialismo proveniva anche Benito Mussolini, che si fece fautore di una politica interventista e nazionalistica. Facendo appoggio soprattutto sui malumori della classe piccolo e medio borghese, Mussolini si impossessò del potere in maniera rapida e travolgente. Fondati i “Fasci di combattimento” nel 1919, attuò azioni di violenza squadristica sino al 1922, quando con la marcia su Roma i fascisti occuparono simbolicamente la capitale, senza che il governo riuscisse ad opporre resistenza. Il re allora, non potendo più a controllare la situazione, incaricò Mussolini di formare il nuovo governo. L’alleanza con i conservatori e il successo elettorale del 1924 rafforzarono la posizione del fascismo e di Mussolini, che però attraversò in quello stesso anno un momento di crisi, per l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti. I parlamentari, ritiratisi per protesta sull’Aventino, non riuscirono però a esprimere una forza alternativa, e così Mussolini, con il discorso del 3 gennaio 1925, liquidò ogni opposizione. 
Da questo momento, per un ventennio, la storia politica dell’Italia si identifica con quella del fascismo. Tutto il potere decisionale appare essere nelle mani delle classi dirigenti, tanto più che le tradizionali organizzazioni sindacali vengono sostituite dalle corporazioni, che si occupano degli interessi dei lavoratori unicamente secondo quelli che sono gli ordini provenienti dall’alto. Nel biennio 1923-25 si verifica una nuova ripresa della sviluppo industriale; si assiste ad una rivalutazione della lira e ad importanti riforme e innovazioni nell’agricoltura. Vengono anche appianati i contrasti religiosi con la stipulazione dei Patti Lateranensi (1929), che regolavano i rapporti tra Stato e Chiesa, con il riconoscimento del regime da parte del Vaticano. 
Alla base del programma di Mussolini vi era l’idea di emulare le sorti dell’antica Roma, cercando di ricreare le condizioni di quella remota grandezza. Il nazionalismo fascista era perciò propenso ad una politica imperialistica, che si espresse con una ripresa delle iniziative di conquista coloniale; nel 1936 l’esercito italiano riusciva a conquistare l’Etiopia portando a termine un impresa fallita vent’anni prima. Contemporaneamente l’Italia, per le sanzioni imposte dalla Società delle nazioni a riguardo della guerra d’Etiopia, si veniva accostando alla Germania, dove nel 1933 era stato eletto cancelliere Adolph Hitler, capo del nazismo tedesco che si caratterizzava per l’oltranzismo provocatorio delle sue scelte: dalle leggi razziali contro le minoranze etniche alla corsa verso gli armamenti, si accelerava il cammino verso lo scoppio della seconda guerra mondiale. 
Mussolini, a causa dell’inadeguatezza militare italiana, entrò in guerra solo un anno dopo il suo inizio, nel 1940, quando i rapidi successi tedeschi sembravano prospettare una veloce soluzione del conflitto. Quando invece gli eventi volsero al peggio e la sconfitta sembrò inevitabile, Mussolini venne deposto nel settembre 1943. Riuscì a riparare a Salò, dove diede vita a una repubblica sotto il controllo tedesco. L’Italia rimaneva così divisa e iniziava la lotta partigiana, che si sarebbe conclusa solo con la fine del conflitto e la sconfitta del nazifascismo.