DA BURATTINO A BAMBINO: IL DIFFICILE CAMMINO VERSO LA MATURITà.
Pinocchio
ha come protagonisti un padre (mastro Geppetto, un falegname povero che vive una
vita di miseria e lavoro) e un figlio (Pinocchio,
appunto, un burattino costruito dal povero falegname con un pezzo di legno). La
nascita è legata ad un programma:
“Ho pensato di fabbricarmi da me un bel
burattino maraviglioso, che sappia
ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio
girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino”.
è un progetto utilitaristico, ma non avido, legato ai bisogni elementari di
sopravvivenza e alla pratica diffusa nelle campagne toscane dell’Ottocento di
un’umanità vagabonda che esercita l’arte di cantare storie e del teatro dei
burattini.
Ma
appena quell’impertinente creaturina di legno prende forma dal lavoro delle
sue mani, subito Geppetto diventa padre,
assumendo la triste responsabilità del sacrificio non ricompensato e ponendo il
burattino sulla strada della vita "lo
conduceva per la mano per insegnargli a mettere un passo dietro l’altro". è
da questi primi passi che incominciano le avventure del nostro “eroe”.
Tali
avventure sono numerose ed articolate in varie sequenze, ma seguono tutte lo
stesso schema che è poi quello classico delle fiabe: allontanamento e
trasgressione, peripezie con avvertimenti e prove negative, ravvedimento con
prove positive, lieto fine con premio. E così Pinocchio, appena costruito,
fugge a gambe levate, uccide il grillo parlante che lo ammonisce, soffre il
freddo e la fame e torna a chiedere aiuto a Geppetto; nonostante i buoni
propositi scappa di nuovo mentre sta andando a scuola, vende l’abbecedario per
entrare a teatro, rischia di finire bruciato da Mangiafuoco, viene salvato e si
ravvede ma, sulla via del ritorno, di nuovo trasgredisce seguendo la Volpe e il
Gatto e così via fino alla soluzione finale quando, dopo la trasformazione in
asino e la prova drammatica dell’essere ingoiato dal Pesce-cane, si ravvede
definitivamente con prove positive e come premio finale, si sveglia una mattina
trasformato in "un ragazzo come tutti
gli altri", sostegno e consolazione alla vecchiaia di suo padre.
L’avventura
e la fuga caratterizzano, dunque, tutta la storia di Pinocchio; non a caso la
parola strada è una delle più
ricorrenti nel romanzo e la strada
assume un duplice significato: è la via della fuga infantile, come esigenza di
indipendenza e di avventura, ma è anche la via del ritorno, la ricerca della
casa e del padre come bisogno della sicurezza.
Appena
costruito, il burattino medita di fuggire, per non studiare e per condurre la
vita del vagabondo, impersona la curiosità infantile: è impulsivo,
cordialmente irresponsabile, generoso ma incostante, dispettoso e ingenuo;
rappresenta l’eroe cercatore delle antiche mitologie, ma è anche
perfettamente integrato nell’ambiente dei paesi e dei villaggi toscani del
tempo, popolato da un’umanità varia di girovaghi, cantastorie, ambulanti che
mendicavano un tozzo di pane e un pagliericcio in cambio delle storie e delle
novità dei loro racconti.
Pinocchio
ha una saggezza innata: "se rimango qui,
avverrà a me quel che avviene a tutti gli altri ragazzi, vale a dire mi
manderanno a scuola, e per amore o per forza mi toccherà studiare". C’è
un solo programma che gli va a genio:
"Quello di mangiare, bere, divertirmi e fare dalla mattina alla sera la vita del
vagabondo". La sua ideologia edonistico-libertaria si scontra con quella
conformistica della società contadina e piccolo borghese che è propria del
padre, ma è impersonata anche da altre figure-chiave come il Grillo-parlante:
è l’obbedienza contro la ribellione, il lavoro contro l’ozio e il
vagabondaggio, l’onestà contro l’inganno.
Il
passaggio dall’universo edonistico dell’infanzia a quello razionale del
mondo adulto avverrà dopo un lungo percorso e sarà motivato non sul piano
dell’introiezione dei valori, bensì semplicemente sul piano del vantaggio
immediato. Ciò che costringe Pinocchio a rivedere il suo progetto originario di
vita vagabonda, non sono tanto i consigli moralistici del Grillo, quanto le
disavventure e, soprattutto, la fame, una fame brutta e imperiosa, che tormenta
lo stomaco e accende la fantasia, la fame conosciuta da una società contadina
abituata a conviverci e ad adattarsi, così che Geppetto non butta via nemmeno
le bucce e i torsoli, tutto "in questo mondo può far comodo..."
Dunque,
appena costruito, il burattino medita di fuggire per non studiare e per condurre
la vita di vagabondo, ma le disgrazie di cui è vittima lo inducono a pensare di
dover studiare, lavorare e guadagnare, perché sta imparando a sue spese che i
vagabondi sono puniti dagli uomini o dalla sorte. Insieme alla ragione è anche
il cuore ad essere colpito dagli eventi dolorosi: in fondo Pinocchio è generoso
e soffre per il dolore arrecato al padre con le sue monellerie, prova
rincrescimento e fa progetti di risarcimento –
"sarò
la consolazione e il bastone della vostra vecchiaia".
Questa
analisi vale fino ad un certo punto dell’opera, all’incirca il cap. XV che
rappresentava appunto la conclusione provvisoria dell’opera prima che Collodi
fosse convinto dall’editore e dal successo a continuarla. A questo punto
qualcosa cambia: continuano a convivere nell’opera le due anime: quella
ribelle e trasgressiva e quella morale e conformistica, ma le trasgressioni sono
pagate ad un prezzo sempre più alto, sia per la gravità delle punizioni
inflitte, sia per il senso di colpa che grava sulla coscienza del burattino.
L’area dei valori morali inoltre si allarga e non riguarda solo l’ambito
affettivo-comportamentale ma anche quello economico-istituzionale: la colpa di
aver rubato e leso il principio della proprietà privata tipicamente borghese,
viene punito con la regressione ad una condizione bestiale (cane) e a nulla vale
la giustificazione di averlo fatto per fame.
L’ultima
e più grave regressione bestiale, quella della trasformazione in asino, paga la
colpa estrema di aver scelto la realtà dell’ozio e dell’edonismo puro a
quella del dovere e dell’obbedienza; a questo punto la catastrofe è completa
e, come accade nelle fiabe e nel mito, segno della realtà delle antiche società
primitive, si determina l’evento-chiave che risolve la vicenda: la morte
esemplificata dal divoramento di Pinocchio nel ventre del Pesce-cane.
Questo
è il punto di catastrofe e insieme di catarsi; da questo momento in poi
Pinocchio prende l’iniziativa e dà inizio alla sua resurrezione: salva se
stesso e il babbo dal ventre del Pesce-cane, lo porta a casa, dà l’addio alla
Volpe e al Gatto, lavora e si sacrifica per mantenere e assistere premurosamente
Geppetto, manda i risparmi per curare la Fata malata e, dopo averla sognata che
lo perdona, si risveglia un mattino trasformato in ragazzo.
Molti
sono gli insegnamenti morali ricevuti da Pinocchio, molte le prove che ha dovuto
superare, ma il gesto che opera l’ultima trasformazione non ha riscontro nella
morale pratica ed utilitaristica basata sullo scambio, è un gesto
anticonformista, di donazione gratuita: regala alla Fatina i suoi risparmi senza
sperare di poter ricevere niente in cambio.
è questo il vero miracolo, che ha
come semplice corollario la trasformazione del burattino in ragazzo e dei
quaranta soldi di rame in quaranta luccicanti "zecchini
d’oro, tutti nuovi di zecca."
Relatore: la classe.