LA RIFLESSIONE TEOLOGICA DI LUTERO
E I SUOI SVILUPPI

La riflessione teologica di Lutero (SB) nasce dalla constatazione di quella che è la realtà della Chiesa Cattolica. La Chiesa, è l’intermediaria fra l’uomo e Dio, attraverso la Chiesa si ottiene la salvezza. Il Pontefice non solo si trova a capo di un organismo ecclesiastico, ma è anche il sovrano di uno stato di discrete dimensioni. La Chiesa di questo periodo è senza dubbio un organismo corrotto, ha perso di vista i suoi compiti e soprattutto per quanto riguarda le indulgenze (ST), finisce anche per travisare il messaggio cristiano. Ed è proprio questo il punto di partenza della riflessione teologica di Lutero, riflessione che nasce appunto da una problematica esistenziale.

Lutero vede come un dono la misericordia divina, e l’uomo pone la sua fiducia nella "sufficienza" della redenzione di Cristo. Dio è volontà, vita, azione e si rivela nel Verbum, cioè Gesù Cristo. La Sacre Scritture sono la "norma" assoluta, ed al centro della Bibbia c’è Cristo. Dopo il peccato originale però la volontà dell’uomo non è più libera davanti a Dio. L’uomo è in un’irrimediabile condizione di peccato ed è quindi impotente. E’ proprio questo il punto centrale della riflessione teologica: dall’irrimediabile condizione di peccato, l’uomo si può salvare non con i suoi meriti (cioè con le sue azioni), ma solo per grazia divina, e su questo concetto s’integra la dottrina della predestinazione (ST) (vedi anche Evoluzione del rapporto fede-ragione), già introdotta da Agostino (SB). L’uomo, acquistando indulgenze, o entrando in convento negli ultimi anni della sua vita, non può ottenere la grazia, ma va anche precisato che neanche la Chiesa può concedergliela.

Il "limite" su cui si fonda questa dottrina è quindi visto sotto due prospettive: da una parte l’impossibilità da parte dell’uomo di essere graziato, ma dall’altra anche l’impotenza della Chiesa. La Chiesa, proprio per i suoi "connotati strutturali", per il fatto cioè di essere formata solo da uomini, non può concedere la grazia, si pensi poi ad una Chiesa che ha addirittura perduto i valori che ne sono alla base. Ed è quindi in questo contesto che in Lutero nasce la problematica esistenziale, ed egli afferma il principio di predestinazione.

Il concetto agostiniano di predestinazione non corrisponde con esattezza alla concezione di Lutero, ma la comprende. Si cercherà ora di illustrare l’evoluzione di questo concetto. Innanzi tutto dobbiamo porci una domanda: la grazia, in relazione alla salvezza, è determinante o solo concomitante? Ci sono due interpretazioni: la grazia è determinante, è cioè Dio che conferendola o meno decide; oppure la grazia non è determinante nel senso che la sua concessione da parte di Dio, pur essendo necessaria alla salvezza non la determina, l’uomo deve anche "collaborare". In realtà non abbiamo risposto alla domanda iniziale, infatti le due risposte possono indurre ad ambedue le soluzioni.

Ma allora, posto che la grazia sia indispensabile in ogni caso, essa è concessa a tutti? Anche qui Agostino è ambiguo sostenendo che o è concessa a tutti come a tutti è concessa la possibilità di perdersi, oppure che è concessa solo ad alcuni. Ma perché Dio non concede a tutti la grazia? Agostino risponde: «mistero», e continua asserendo che, dal momento che la massa umana è formata solo da peccatori, concedendo la grazia ad alcuni Dio è buono, negandola ad altri è giusto. Comunque in Agostino c’è sempre un oscillazione fra tesi ambigue e contraddittorie, e questo porta anche ad una non completa ed esauriente risposta. Lutero invece è convinto che la grazia sia concomitante con la salvezza, e questo non comporta quindi una rassegnazione di fronte alla volontà divina, anzi spinge proprio a cercare quella cooperazione che porterà alla salvezza. Comunque, una vera "spinta" all’impegno si avrà nel Calvinismo. Quella di Lutero è infatti una tesi in un certo senso intermedia. Si parte dalla consapevolezza della irrimediabile condizione di peccato nella quale tutti si trovano, ed essa non è mutabile. Il famoso detto di Lutero «pecca molto, ma credi molto», ne è in sostanza la sintesi.
Nel Calvinismo si passerà successivamente al concetto di predestinazione doppia, cioè alcuni sono destinati alla salvezza, altri no. La presenza dell’uomo in questo mondo è funzionale alla glorificazione di Dio, la "realtà" di ogni individuo è riconducibile al successo che questo ottiene nell’intraprendere le proprie attività; l’importante non è ciò che si compie, ma il successo che si ottiene ognuno per la propria "vocazione", e la riuscita di questa missione è "misura" della predestinazione. E’ palese che questa concezione di predestinazione doppia non è un aspettare supino il compiersi della volontà divina, anzi è uno stimolo verso l’impegno, ma non finalizzato ad acquistare meriti.

E’ proprio in quest’ottica che s’inserisce la tesi di Weber, che fa notare come il Calvinismo crei la mentalità borghese. Il Marxismo ne vede invece l’espressione. E’ una società produttiva ed efficiente, democratica ma con un principio di autogestione, ed è totalitaria, cioè non sono ammesse eccezioni. Questo è uno dei dilemmi con i quali la civiltà giuridica dovrà confrontarsi. L’interesse della comunità è promuovere la libertà dell’individuo (già tema umanista). Nella visione aristocratica, ciò che conta è la famiglia, famiglia che prevale sull’individuo, ma qui il rapporto è proprio rovesciato.

Il Relatore:
Luca Torre