Questo approfondimento vuole mettere in evidenza le varie tappe di sviluppo del rapporto fra fede e ragione. Volendo contestualizzare largomento è doveroso mettere in evidenza la rilevanza del problema. Ci troviamo infatti in un epoca quasi di transizione (dal III secolo d.C. in poi), un epoca in cui si introducono "nuove" riflessioni filosofiche, e ci è possibile constatare come i maggiori pensatori del periodo si siano dovuti confrontare con la questione. Il contrasto esasperato fra fede e ragione non ebbe molta fortuna nella filosofia medioevale poiché si pensò sempre ad una loro armonia. Lanalisi infatti è volutamente limitata ad alcuni filosofi poiché, a causa della vastità e complessità del problema non è possibile trattarli tutti.
Un filosofo che ha avuto una notevole rilevanza
è S. Agostino
(SB) di cui si tratta il modo di
concepire il rapporto fra fede e ragione. Una famosa citazione
del santo "crede ut intelligas et intellige ut
credas" è quantomai opportuna in questa analisi. Essa
sintetizza infatti la sua teoria: credi per capire e capisci per
credere, significa che per trovare la verità (cioè capire) è
necessaria la fede (credere appunto), ma al tempo stesso, per
avere una fede consapevole è necessario luso
dellintelletto. Si viene quindi a creare fra regione e fede
un rapporto di stretta e diretta connessione, e si configurano
come due aspetti di quella realtà esistenziale che è il
rapporto fra uomo e Dio. Per Agostino, la filosofia non cerca
tanto la "verità" in quanto tale, quanto piuttosto
cerca di spiegare la verità Cristiana. E così che la
filosofia assume quella che viene detta la finalità apologetica,
cioè ha un suo scopo ben preciso, infatti quello di Agostino non
è un pensiero sistematico come quello di Plotino o Aristotele
(vedi Aristotelismo (ST)), ma il suo filosofare nasce dallesigenza di dare
delle risposte sul piano culturale a questioni e
problematiche inerenti la dottrina Cristiana.
Si è
parlato di evoluzione del rapporto, e una vera e propria
evoluzione emerge dal confronto di Agostino con Anselmo
dAosta. Una sua frase
significativa "credo ut intelligam" evidenzia
una precedenza della fede rispetto alla ragione. I
termini sono già differenti rispetto ad Agostino, non si può
capire se non si ha fede; tuttavia essa deve essere dimostrata e
confermata con motivi razionali. Laccordo tra ragione e
fede è essenziale, ma se ci fosse un contrasto, bisognerebbe
mettere in discussione la ragione e basarsi sulla fede. In questo
caso cè quasi una subordinazione, ma Anselmo asserisce che
tale contrasto non ci può essere poiché la ragione e la fede
hanno la stessa natura, cioè derivano entrambe dalla
illuminazione divina. E interessante considerare Anselmo
anche sotto la prospettiva storica, in quello che è il suo
contesto, cioè lXI secolo d.C.. Si comincia a pensare che
la ragione possa integrare verità che sono date e sono solo da
accettare. Si consideri che questa nuova concezione non è mossa
solo dalla nuova prospettiva del rapporto, infatti è opportuno
considerare anche la prova ontologica cioè il fatto che Anselmo
portò a pensare che fra intelletto e realtà ci fosse
connessione. Tuttavia la critica di Gaunilone (abilmente evitata
da Anselmo) mette in evidenza come sia diverso il piano del
pensiero e delle possibilità da quello della realtà effettiva,
pertanto dalla possibilità concettuale non deriva una
convincente prova ontologica. Siamo agli inizi di un risveglio
filosofico in cui la ragione ha tutta la dignità per essere
praticata e la formula fede-ragione comincia ad essere
considerata come una formula che ha conclusioni positive.
Radicalmente opposto al "credo ut intelligam" di Anselmo dAosta troviamo "intelligo ut credam" di Abelardo. Non si può credere se non a ciò che si conosce e si deve in ogni caso discutere se si debba o no avere fede. Si deve credere allautorità fintanto che non si è compreso la dimostrazione di ciò che essa vuole insegnare, ma la fede stessa diventa inutile nel momento in cui la ragione ha la possibilità di accertare in modo autonomo la verità. Se non si dovesse discutere nemmeno di ciò che si deve o non si deve credere, non avrebbe differenza credere il vero o credere il falso. A differenza di Anselmo in cui la maggiori implicazioni partivano dalla prova ontologica, in questo pensatore è proprio la nuova prospettiva del rapporto fede ragione che ha le più rilevanti conseguenze. La ricerca di Abelardo è infatti impiantata su nuove basi, si rileva infatti come egli vuole mostrare la necessità di adoperare la ragione per risolvere i contrasti e trovare la soluzione. Questa nuova metodologia di indagine consiste nellenunciare argomenti che si adducono pro e contro la risposta positiva e quella negativa, e infine nello scegliere una della due soluzioni, confutando quindi laltra. Ciò è il concetto principale dei una delle sue opere maggiori, il "Sic et non". Successivamente questo metodo sarà proprio di tutti gli scolastici e si manterrà fino alla fine della scolastica (ST) stessa, proprio dopo Guglielmo di Ockham (SB) (vedi anche Rapporto fede-ragione in Ockham (ST)). Fino ad ora levoluzione del rapporto fede ragione non si è considerata nella sua totalità. E un complesso ed articolato processo che, nel caso specifico di Abelardo, si integra anche in un contesto ben più ampio che è la disputa sugli universali (D). La concezione di fede e ragione ci permette di definire la metodologia di indagine, ma non è possibile ignorare le conseguenze nellambito delle dottrine teologiche come il modalismo, il necessitarismo e lottimismo (D) metafisico.
La connessione fra fede e ragione è meno rilevante nellanalisi delle filosofie islamiche ed ebraiche. In particolare in Avicenna ed Averroè si parla di necessità dellessere, della dottrina dellintelletto, dellordine necessario del mondo, del concetto di eternità delluniverso e della doppia verità, ma tutte queste tematiche non presentano al loro interno riferimenti alla fede. Cè come una prevalenza assoluta dellintelletto che, nellazione combinata di quello potenziale e quello attivo, astrae dalle rappresentazioni sensibili i concetti e le verità universali (questultimo è un riferimento ad Averroè).
Procedendo con lanalisi troviamo Tommaso dAquino la cui filosofia ha come fine determinare in modo rigoroso il rapporto fra la religione e la rivelazione. In questa visione la ragione è subordinata alla fede, essa non può dimostrare ciò che è di pertinenza specifica della fede, altrimenti la fede stessa perderebbe di significato. Tuttavia può servire alla fede in tre diversi modi: può dimostrare i preamboli della fede, cioè quelle verità la cui dimostrazione è necessaria alla fede stessa; la filosofia può essere adoperata a chiarire mediante similitudini le verità della fede; la ragione può controbattere le obbiezioni che si fanno alla fede dimostrando che sono false o che non hanno forza dimostrativa. La fede e la ragione non possono trovarsi in contraddizione: la ragione ha una sua verità, dei principi intrinseci che sono verissimi ed è impossibile pensare che siano falsi dal momento che Dio stesso è lautore della natura umana. La verità di ragione non sarà perciò in contraddizione con la verità rivelata poiché la verità non può contraddire la verità. La ragione può indurre allerrore ed in quel caso la fede deve essere la regola del corretto procedere della ragione. Questa parte della filosofia tomistica è riscontrabile soprattutto in "Somma contro i Gentili".
Successivamente si "assiste" a quella che viene definita la fine della scolastica, con particolare riferimento a Guglielmo di Ockham. Nella teoria della conoscenza, vengono posti notevoli limiti alla possibilità da parte delluomo di comprendere la realtà. La conoscenza è infatti limitata a ciò di cui si ha esperienza, ed è particolarmente significativo il processo di astrazione (D) conoscitiva. Volendo confrontare S. Tommaso con Ockham si nota come mentre nel primo il processo consiste nellisolare ed astrarre ciò che è "in re", per quanto riguarda Ockham il discorso è più complesso. Si deve infatti introdurre la teoria della supposizione. Quella di Ockham è una posizione nominalista (D): per comprendere ad esempio la parola uomo, ogni individuo, anziché fare riferimenti ad enti empirici, considera uomo come segno delluniversale. Se si pensa alluniversale di uomo, si pensa ad un uomo specifico dal quale poi si astraggono gli elementi che ne caratterizzano la sua specificità. Un sistema conoscitivo basato esclusivamente sullesperienza empirica pone come già detto dei limiti alla conoscenza; si viene a creare un problema che sembra privo di soluzione: lindimostrabilità degli argomenti teologici. Luomo infatti non può raggiungere niente che trascenda lesperienza. Non è possibile quindi provare ontologicamente lesistenza di Dio. Tuttavia la fede non deve essere negata, ma un conto è loggetto di fede, altra cosa è loggetto di scienza. A differenza di Tommaso, non cè in Ockham una diretta connessione fra fede e conoscenza. Si crea anche unaltra problematica, infatti è vero che non è possibile, ontologicamente parlando, dimostrare lesistenza di Dio, ma allo stesso modo non è possibile dimostrarne il contrario, cioè la non esistenza. In definitiva, il reale è indagabile solo entro certi limiti, la conoscenza diversa da quella empirica è solo illusoria: è proprio su questo concetto che si basa la critica alla metafisica tradizionale.
Relatore:
Luca Torre