CERVANTES E IL "DON CHISCIOTTE"

Trama del don Chisciotte: Un signorotto di campagna, Alonso Quijada o Quesada, incitato dalla lettura dei romanzi cavallereschi, decide di mettersi in giro per il mondo, facendosi cavaliere con il nome di don Chisciotte della Mancia. Per gloria sua e del paese deve difendere gli ideali più alti: giustizia, pace, difesa degli oppressi. Ribattezza il suo ronzino con il nome di Ronzinante e si sceglie una dama, una contadina della sua terra che chiama Dulcinea del Toboso.

Don Chisciotte, dopo aver scambiato un’osteria per un castello e fattosi armare cavaliere dall’oste, inizia le sue imprese: cerca di difendere un ragazzo malmenato da un contadino ma finisce col peggiorare la situazione; impone ad alcuni mercanti di rendere omaggio a Dulcinea, ma questi lo picchiano a sangue.

Riportato a casa e guarito, riparte con al fianco uno scudiero, Sancio Panza, un contadino del paese, al quale promette fortuna e un’isola da governare.

Assieme al suo scudiero intraprende nuove "avventure" e quindi nuovi guai, che spesso sono dovuti all’eccessiva fantasia del cavaliere, la quale stravolge e allontana dalla realtà il mondo che circonda i due protagonisti. Don Chisciotte lotta contro i mulini a vento scambiati per giganti, cade vittima dei mulattieri e di un oste, che lo picchiano a sangue, dei pastori che lo prendono a sassate, dei galeotti e di molte altre persone, che sicuramente non erano valorosi cavalieri.

Compiute molte paradossali imprese, ha termine la prima parte del romanzo, che vede il suo ritorno a casa con la complicità di Sancio, del curato e del barbiere del paese.

Dopo un breve periodo di riposo e riacquistata la fiducia degli amici, riparte. Seguono così nuove imprese a cui Sancio partecipa con entusiasmo, impaziente di prendere il comando di un’isola.

I due giungono al castello di un duca e di una duchessa, che venuti a conoscenza delle loro comiche gesta, si prendono gioco di loro (fra l’altro nominano Sancio governatore dell’isola di Baratteria). Ripreso il cammino, arrivano a Barcellona dove il cavaliere della Bianca Luna, che in realtà era l’amico Carrasco, sfida don Chisciotte e lo vince. Carrasco gli ordina di ritornare al suo paese ed egli, fedele alle regole della cavalleria, così fa.

Tornato nella propria terra si ammala e, per le fatiche provate, ma soprattutto per l’impossibilità di non poter più perseguire i propri ideali, muore.

Analisi del Don Chisciotte: Il "Don Chisciotte" si colloca nel "siglo de oro" della letteratura spagnola ed è una delle più alte espressioni di un’epoca, che include una straordinaria varietà di generi letterari. Quest’opera si ricollega alla letteratura contemporanea costituita dai romanzi cavallereschi e dai romanzi picareschi (D).

Nel Don Chisciotte lo scrittore usa il dissolvimento dell’antico mondo cavalleresco e la contraddittorietà del presente come materia di trasformazione parodistico-fantastica.

Il primo fine, dichiarato esplicitamente nel Prologo dallo stesso Cervantes, è quello di ridicolizzare i libri di cavalleria e di satireggiare con il mondo medioevale, tramite il "folle" personaggio di Don Chisciotte; infatti in Spagna la letteratura cavalleresca, importata dalla Francia, aveva avuto nel cinquecento grande successo, dando luogo al fenomeno dei "lettori impazziti".

Inoltrandosi nella lettura, subito dopo le prime avventure, Don Chisciotte perde gradualmente la connotazione di personaggio "comico" e acquista uno spessore più complesso. Lo stesso romanzo diventa ben presto ben più che una parodia o un romanzo eroicomico. Il "folle" cavaliere ci mostra il problema di fondo dell’esistenza, cioè la delusione che l’uomo subisce di fronte alla realtà, la quale annulla l’immaginazione, la fantasia, le proprie aspettative, la realizzazione di un progetto di esistenza con cui l’uomo si identifica. Il "disinganno", cioè il tema dello scontro struggente tra ideale e reale, che ritroviamo nel romanzo, fu per Cervantes, non solo un motivo poetico, ma anche un’esperienza personale.

Già all’inizio del "Don Chisciotte" si notano le opposte figure del cavaliere e dello scudiero: l’uno alto e magro, l’altro basso e grasso; Sancio pratico, attaccato alla realtà e all’interesse, Don Chisciotte sognatore e ligio al dovere. I due personaggi danno così origine alla compresenza degli opposti e quindi all’assenza di certezze assolute, caratteristica tipica del Manierismo (D). L’autore assume di fronte alla realtà un atteggiamento non più univoco.

Nella seconda parte Cervantes, con l’introduzione di molti nuovi personaggi, attua una moltiplicazione senza fine delle prospettive e dei piani narrativi, squisitamente Barocca (D).

Sancio Pancia e Don Chisciotte, all’inizio tanto diversi fra loro, quasi a voler rappresentare due opposti, alla fine delle loro avventure si sono equilibrati a vicenda: il cavaliere si trasforma in un gentiluomo assennato che dai propri valori, non più assoluti e tirannici, trae spunti per risolvere le difficoltà nel rispetto di tutti; mentre lo scudiero supera l’assoluto materialismo e realismo, convergendo come Don Chisciotte verso una zona intermedia di equilibrio.

Il Don Chisciotte è un’opera comica nel più alto dei significati e cioè nel medesimo tempo profondamente triste, ricca di implicazioni e per molti aspetti moderna. Il cavaliere nell’urto del suo mondo con la realtà, conferisce alla storia un significato più profondo e universale. Egli è comico in tutto tranne che nell’ardente sincerità della sua fede.

Penso che in ogni epoca l’uomo sia stato costretto, e lo sia tuttora, dalle vicende della vita a ripetuti compromessi, a sconfitte, a tristezze; perciò mi chiedo se la follia di Don Chisciotte (vedi "Erasmo") sia una vera follia o se egli fosse un savio, cioè uno che ha scoperto, contro ogni apparenza, il significato primo dell’esistenza. Tanto è vero che egli finisce per coinvolgere nella sua "follia" anche il terrestre Sancio.

Il romanzo può anche essere letto secondo coordinate di carattere storico: il declino della Spagna di fine Cinquecento, che dopo Carlo V (SB), con Filippo II (SB), vide la fine dei sogni di grandezza, simbolicamente rappresentata dalla sconfitta dell’Invincibile Armata da parte della flotta inglese (1588). La crisi economica, sociale e politica della Spagna corrisponde ad una crisi di valori nell’Europa del tempo, travagliata da lotte di potenza imperialistica e da uno sviluppo sempre maggiore del capitalismo (D). Il cavaliere dalla "triste figura" si scontra con un mondo che non ha più i suoi punti di riferimento e non condivide i suoi ideali di hidalgo e di cavaliere. Al cavaliere errante si sostituirà il picaro.

Cervantes trova nella visione ironica l’atteggiamento equilibrato e positivo, in risposta alla sensazione di declino e di delusione suscitata dal contesto storico, accettando l’interpretazione di tutti i "segni" della vita e applicando la tolleranza (questa la vediamo nel capitolo del "Bacile o elmo ? Bacielmo").

L’ironia, presente nell’opera di Cervantes, possiamo ritrovarla nel "Cavaliere inesistente" di Calvino (SB) e nell’ "Orlando Furiso" di Ariosto (SB). Quest’ultimo non si può accostare al "don Chisciotte", poiché l’unica cosa che li accomuna è la materia cavalleresca: il capolavoro di Cervantes è l’espressione di una società già lacerata nelle sue strutture e senza speranze nel futuro; mentre l’Orlando Furioso (D) esprime una società giunta all’estremo del suo equilibrio, ma che difende i suoi valori e li esprime in un consapevole gioco ironico.

Nella fiaba di Calvino il cavaliere inesistente, come Don Chisciotte, insegue i suoi ideali cavallereschi, che paradossalmente rappresentano tutto per lui, poiché egli è fatto di nulla; ma immediatamente si evidenzia il contrasto fra la sua integrità di valori e la realtà, rappresentata dagli altri cavalieri. La realtà degli altri cavalieri, consapevoli del loro essere pieni di difetti, ma non di Gurdulù, che della sua terrestrità consapevole non è, ha bisogno della protezione dell’Inesistente. Così la società di Don Chisciotte ha bisogno della sua follia: l’ultimo cavaliere errante, testimone di una grandezza passata, ha ancora il compito di richiamare ai propri principi una società in disfacimento, caduta perché aveva scambiato la nobiltà con la vanagloria

Relatore:
Marco Cascianini