GIORDANO BRUNO E LA RIFLESSIONE SULL'INFINITO

Quella di Giordano Bruno (SB) è una figura complessa che si inserisce in un periodo di profondo sconvolgimento e rinnovamento degli orizzonti conoscitivi delle dottrine filosofiche. Bruno in questo contesto svolge un ruolo significativo, proponendo un originale pensiero che si struttura sotto l'influenza di correnti filosofiche precedenti e contemporanee, quali l'Atomismo (ST), il Naturalismo (D), il Neoplatonismo e l'Ermetismo.

Le tesi di Bruno sono quindi improntate sulla base di un naturalismo che risente di una tensione amorosa tipica del neoplatonismo, ma anche di una predilezione per la magia (D) e l'astrologia (ST) come strumenti di indagine sul reale e sulla natura stessa. In quest'ottica l'opera di Bruno segna una battuta d'arresto nello sviluppo del naturalismo scientifico in quanto si configura quasi come una religione della natura.

Proprio per il suo carattere magico e miracoloso, la natura secondo Bruno non è conoscibile unicamente attraverso i sensi come aveva invece ipotizzato Telesio (SB); bisogna bensì indagarla attraverso l’intelletto che ci eleva al di sopra delle particolarità.

Grazie a questo concetto Bruno propone la natura come unico oggetto di studio della filosofia e unica fonte di verità certe. Giunge di conseguenza a ritenere qualsiasi tipo di religione positiva (rivelata), un insieme di superstizioni contrarie alle leggi e alla giustizia naturale.

Relegate le antiche credenze in luogo di inutili falsità, Bruno procede nella costruzione di una religione naturale, che individua in una sapienza originaria comune a tutti gli uomini d’intelletto, antichi e contemporanei, la via per giungere a Dio. Una via questa, che svolge il suo percorso nella natura, la quale si pone come oggetto e termine del filosofare e della religiosità stessa.

Nell’ambito della sua religione naturale, Bruno concepisce Dio in duplice maniera: da una parte, risentendo fortemente dell’influenza di principi Neoplatonici, la divinità è immaginata al di fuori dell’universo (mens super omnia), ineffabile e completamente trascendente, oggetto quindi della sola fede e in nessun modo comprensibile dalle capacità conoscitive umane; dall’altra Dio è considerato immanentemente come principio primo della natura e del cosmo (mens insita omnibus), e come tale risulta raggiungibile da parte dell’uomo perché si fa oggetto del suo impeto filosofico e religioso.

Sotto quest’aspetto Dio è l’artefice interno del mondo, è causa efficiente di tutti i fenomeni naturali ed agisce come Anima del cosmo plasmando l’infinita materia per creare l’intero universo.

La negazione della trascendenza di Dio, il riconoscimento della sua infinità consentono a Giordano Bruno di poter individuare una sostanziale unità della natura. Tale concetto di unità va ricercato in Dio stesso e si lega ad un’altra idea fondamentale della concezione bruniana: la coincidenza degli opposti, secondo la quale in Dio, e quindi necessariamente anche nel cosmo gli opposti coincidono; ecco quindi che il massimo e il minimo, l’amore e l’odio risultano la stessa cosa. Ma la coincidenza degli opposti è possibile soltanto in uno spazio illimitato, perché due realtà contrarie possono confondersi fino ad identificarsi solo se relazionate con l’infinito (D) ed in esso inserite. Da qui la postulazione di un universo appunto infinito espressione dell’infinità di Dio che comprende ogni aspetto della natura e del reale.

Quest’innovativa teoria che si affiancava e superava quella matematicamente provata di Copernico (SB)abbatteva definitivamente la vecchia concezione aristotelica che faceva dell’universo uno spazio chiuso, limitato e fornito di un unico centro, sostituendola con un modello cosmologico senza confini (ST), avente centro contemporaneamente in nessuno e in ogni luogo, caratterizzato da una pluralità di mondi e pianeti abitabili.

La definizione di un cosmo che riceve la sua peculiarità dall’infinità divina porta con sé un'altra importante critica alla fisica aristotelica, riconoscendo pari dignità a mondo stellare e realtà sublunare, in quanto parti della stessa infinità e opera della stessa mens insita omnibus e perciò espressioni identiche della sua potenza.

L'etica (D)di Bruno si fonda anch'essa sulla base di questa nuova concezione che concerne religione, metafisica e fisica; infatti se l’unità e l’infinità costituiscono il principio primo del mondo, esse devono anche costituire, secondo Bruno, l’aspirazione massima dell’intelletto umano. Quest’aspirazione è collocata al vertice delle virtù ed è raggiungibile attraverso quello che Bruno chiama l’eroico furore, ovvero l’identificarsi dell’uomo con la natura attraverso l’amore e l’accettazione della realtà. In questo modo l’uomo si fa natura e, contemplando dall'interno l'essenza delle cose, riesce con il proprio ingegno, ad assoggettarle a sé e, per mezzo del proprio lavoro, a plasmarle, esaltando così le doti che solo a lui sono concesse. A ben guardare nella filosofia, ma soprattutto nella cosmologia bruniana si ritrovano concetti estremamente innovativi che quindi risultano veramente rivoluzionari e destabilizzanti se considerati nell’ottica del XVI secolo. Basti pensare che l’universo ipotizzato da Bruno è in tutto e per tutto simile a quello delineato dalle conoscenze moderne, tanto che fu oggetto di molte critiche anche da parte di quelli che sono considerati i padri della cosmologia moderna, come Galileo (SB) e Keplero (SB), i quali con i loro mezzi conoscitivi non potevano ipotizzare sulla base di un ragionamento matematicamente rigoroso l’infinità dell’universo o la pluralità dei mondi. Un’opposizione convinta alle nuove teorie cosmologiche fu portata anche dagli esponenti della vecchia cultura aristotelica (ST) e scolastica (ST), ma soprattutto dagli apparati ecclesiastici che vedevano minacciate molte importanti verità di fede; la molteplicità di mondi abitati asserita da Bruno creava pericolose difficoltà dogmatiche che scatenarono la violenta reazione di cattolici e protestanti.

 


Relatore:
Giulio Brugoni