Il termine "rivoluzione industriale" venne coniato dal filosofo tedesco Karl Marx, ma per ragioni ideologiche venne bandito per decenni dai circoli accademici in tutta Europa. Come il termine stesso indica, si tratta di una rivoluzione, un cambiamento repentino dovuto all'accumularsi di elementi propizi. Tuttavia, storici come Rostow preferiscono parlare di "decollo", inteso come un processo che si autosostiene ed autogenera. La definizione che ne dà Hobsbawn è che, in questo processo, vennero sviluppate le condizioni che moltiplicarono le capacità produttive della società umana, che da allora in poi, furono in grado di perseguire un costante, rapido e, fino ad oggi, illimitato incremento demografico, dei beni di consumo e dei mezzi di produzione. Nessuna società precedente era stata capace di strappare il freno imposto alla produzione da una struttura sociale preindustriale, da una scienza e da una tecnica deficienti e dalle conseguenti periodiche sconfitte. Ma il problema di maggior rilievo consiste nel capire perché il fenomeno ebbe origine in Inghilterra proprio in quegli anni. Nella fattispecie, la situazione della Gran Bretagna preindustriale, e in genere di tutte le altre società, era la seguente:
La stragrande maggioranza della popolazione viveva in
condizioni di estrema povertà ed era afflitta da condizioni igieniche precarie,
causa di gravi malattie, e soffriva la fame per stagioni poco produttive.
Nonostante lo Stato cercava di tutelare i più svantaggiati tramite la Poor
Law, i provvedimenti si dimostrarono di scarsa efficienza.
Lo sviluppo economico era debole, i dati erano simili a
quelli registrati nel secolo precedente e ogni lieve miglioramento rischiava di
essere annullato da un’epidemia, una guerra o un cattivo raccolto. Alla base
vi era una gerarchia sociale che dipendeva strettamente da diritti di proprietà,
da vincoli istituzionali e di ceto, da forti legami che rendevano difficile la
mobilità delle persone.
L’agricoltura continuava ad essere il settore con il più
alto numero di addetti (l’80% della popolazione attiva lavorava nei campi), la
cui organizzazione era ancora a livello familiare. Questo nucleo produttivo
interessava anche le lavorazioni artigianali (metalli e tessuti), i cui addetti
non vantavano di una specializzazione professionale.
Le città si configuravano come piccoli centri urbani che, ad esclusione di poche eccezioni, non superano i 10000 abitanti. (Cartiglia)
Nell’Inghilterra della metà del XVIII secolo una serie di fattori istituzionali (il liberalismo politico), sociali (l’esistenza di una notevole mobilità degli individui e dei mestieri, la liberazione dai vecchi vincoli corporativi) e culturali (l’affermazione di valori che favorirono l’impresa capitalistica) resero possibile lo sfruttamento di condizioni materiali quali l’abbondanza di carbone e ferro nel sottosuolo, il clima umido favorevole alla lavorazione del cotone, l’abbondanza di corsi d’acqua. D’altra parte questi soli elementi non sarebbero stati in grado di innescare il processo di rivoluzione industriale, per il quale concorrono anche i seguenti fattori:
La società inglese del XVIII secolo, probabilmente, era più
aperta di ogni altra comunità d’Europa. Non soltanto il reddito era più
egualmente distribuito, ma le barriere alla mobilità sociale erano molto meno
forti , le definizioni di rango meno rigide. In Inghilterra la nobiltà è
spesso frammista a gruppi professionali di varia ricchezza; in Francia e
Germania, al contrario, vi è una più netta struttura rigidamente chiusa
(clero, aristocrazia, borghesia, popolo); negli Stati dell’Est, al di là
dell’Elba, come ad esempio in Russia, la partizione è ancora più spinta,
articolata in una potentissima minoranza di nobili, in un tenue strato di
borghesia mercantile scarsamente integrata, in una enorme massa di contadini
miserabili.
La mobilità favorisce l’urbanizzazione, la
commercializzazione, l’industrializzazione; erano frequenti gli scambi tra
città e campagna; industrie e botteghe erano pronte ad abbandonare il vecchio
per il nuovo, a seguire la domanda dei clienti. Il punto focale si dimostrò
proprio questa capacità di fabbricare a basso costo gli articoli più richiesti
dalla domanda estera. Gli sbocchi commerciali più interessanti non erano le
nazioni d’Europa, ma piuttosto le terre d’oltre mare, America e Asia, dove
c’era una grande diversità di bisogni e di gusti e la clientela non aveva
interesse per i prodotti di lusso, costosi, ben finiti.
L’Inghilterra non era influenzata dall’esclusività professionale diffusa in Europa e difesa da legge e dall’abitudine. Nacquero così figure come quella di Thomas Griggs, droghiere e produttore di stoffe, che investiva e speculava in beni immobili, ingrassava il suo bestiame per il mercato, coltivava l’orzo, imprestava denaro su pegno. (Cartiglia)
Questa era soltanto una situazione di partenza che si evolse, tra il 1780 e 1840, in merito al configurarsi di uno stadio di continuo sviluppo, tale da autosostenersi e autoalimentarsi, che si articola in una serie di “microrivoluzioni” interdipendenti, ognuna con le sue correlazioni di causa e di effetto: rivoluzione demografica, rivoluzione agricola, rivoluzione commerciale, rivoluzione dei trasporti, rivoluzione della tecnica, rivoluzione del lavoro. (Cartiglia)