SCAPIGLIATURA: PER DISTRUGGERE LA MASCHERA DELLA BORGHESIA

Il testo riportato è il componimento con cui si apre la raccolta Penombre e costituisce una sorta di manifesto programmatico di quella che secondo Praga sarebbe dovuta essere la nuova letteratura.


Preludio
da Penombre

                                                        Noi siamo i figli dei padri ammalati;

                                                        aquile al tempo di mutar le piume,

                                                        svolazziam muti, attoniti, affamati ,

                                                        sull’agonia di un nume .

 

                                                        Nebbia remota è lo splendor dell’arca,

                                                        e già dall’idolo d’or torna l’umano,

                                                        e dal vertice sacro il patriarca

                                                        s’attende invano;

 

                                                        s’attende invano dalla musa bianca 

                                                        che abitò venti secoli il Calvario,

                                                        e invan l’esausta vergine s’abbranca

                                                        ai lembi del Sudario…

 

                                                        Casto poeta che l’Italia adora,

                                                        vegliardo in sante visioni assorto,

                                                        tu puoi morir!…degli antecristi  è l’ora!

                                                        Cristo è rimorto!-

 

                                                        O nemico lettor, canto la Noja,

                                                        l’eredità del dubbio e dell’ignoto;

                                                        il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boja,

                                                        il tuo cielo e il tuo loto!

 

                                                        Canto litane di martire e d’empio;

                                                        canto gli amori dei sette peccati

                                                        che mi stanno nel cor, come in un tempio

                                                        inginocchiati.

 

                                                        Canto le ebbrezze dei bagni d’azzurro,

                                                        Non irrider, fratello, al mio sussurro

                                                        Se qualche volta piango,

 

                                                        giacché più del mio pallido demone

                                                        Odio il minio e la maschera al pensiero,

                                                        giacché canto una misera canzone,

 

                                                        ma canto il vero!

(analisi del testo)     (rapporto padre-figlio)


RELAZIONE
"Noi siamo i figli dei padri ammalati", questo il grido col quale Praga apre il suo componimento e subito avvertiamo un forte contrasto di ideali, uno scontro tra due generazioni antitetiche e contrapposte come l’acqua e il fuoco, come il bianco e il nero.
Da una parte la generazione romantica italiana, che ha lottato per l’unificazione del paese e pone in primo piano un obbiettivo patriottico e nazionale, che vede nel cattolicesimo la massima espressione collettiva e autenticamente popolare della nazione italiana. Una Borghesia che ha lottato per affermarsi e che vuol vedere rispettati i propri diritti, una Borghesia fautrice di valori profondamente moralistici e di una vita controllata da rigide convenzioni.
Dall’altra una generazione di aquile che svolazzano mute e attonite, che non ha un ideale definito, che non sa bene cosa cerca, l’unica certezza è quella di voler cambiare, di dare un taglio al passato. E’ la generazione degli scapigliati, figli di quella stessa borghesia che essi odiano, della quale rifiutano i valori, animati da uno spirito di ribellione contro la cultura tradizionale e il buonsenso.
Da una parte le convenzioni sociali, il conformismo, il "minio" e la "maschera"; dall’altra la rottura, la libertà, la voglia di cantare il vero.
Gli ideali, la fede di un tempo sono avvolti da una nebbia remota, appaiono così lontani, indifferenti all’animo del poeta, non corrispondono più a ciò che cerca.
Da qui l’allusione al Manzoni, simbolo dei valori cristiani e di una vita dedita alla moralità, e perciò criticato: "Casto poeta……tu puoi morir!" grida l’autore. Sì, Manzoni può morire perché gli antecristi scapigliati sapranno proporre una nuova letteratura, adatta ad un’epoca senza Dio.
Da qui l’aggettivo nemico rivolto al lettore, che rappresenta quei tradizionali valori dai quali il poeta si è ribellato, e che è quindi inevitabilmente ostile al suo progetto di rinnovamento. Ribellione, cambiamento, trasformazione; queste le parole chiave che rappresentano al meglio il pensiero del poeta. Un pensiero che però lo porta ad isolarsi e che proclama la sua solitudine fra un’umanità che ai suoi occhi risulta corrotta e avversa alla nobiltà dello spirito, un pensiero che tormenta profondamente la sua coscienza.
Da una parte la bramosia, la voglia, la curiosità verso l’ignoto, la novità; dall’altra la paura, la perplessità di trovarsi senza una guida, la nostalgia del venir meno dei valori della fede religiosa.
Non ci sono più le certezze e le verità divinamente rivelate, ma i dubbi e le contraddizioni, il dualismo del cielo, che rappresenta l’ideale, e il loto, il reale.
Tutto è pervaso dalla Noja derivata da un vuoto, dall’assenza di ideali, dal tramonto di ogni fede, una noia che domina come un re, un pontefice e tortura come un boia l’individuo, imponendogli una drammatica contraddizione esistenziale.
La poesia passa da una parte iniziale negativa, dove l’autore definisce ciò che la sua generazione non può più essere, uccidendo simbolicamente il padre (Manzoni), per poi passare ad una parte finale dove definisce invece ciò che quella generazione è realmente dopo la perdita delle certezze.         
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ANALISI DEL TESTO Preludio

Metro: Quartine costituite da tre endecasillabi e da un quarto verso che nelle strofe dispari è un settenario e in quelle pari un quinario. La rima è alterna, secondo lo schema: ABAb.

1-4. Subito dall’inizio del componimento si avverte un forte contrasto di generazioni e di ideali: la precedente generazione romantica e risorgimentale appare al poeta ammalata, non più in grado di trasmettere valori positivi. Paragona la propria generazione ad aquilotti, sì, ma ancora incapaci di tentare come vorrebbero, un libero volo; e che svolazzano quindi attoniti, protesi verso un ideale che vien meno.
5-8. L’"arca", che è una metafora per indicare la fede di un tempo, oggi non c’è più è avvolta da una "nebbia  remota"; per questo gli uomini ritornano ad adorare il vitello d’oro, simbolo del denaro e del traviamento della civiltà moderna, e invano si attende che ritorni Mosè dalla vetta del Sinai.9-12. Il bianco è il colore della fede e la "musa bianca" è la poesia di ispirazione cristiana, che ,dopo venti secoli, sembra anch’essa agonizzante, legata ad un cadavere (sudario).
13-16. Allude al Manzoni, allora ancora vivo, simbolo della poesia cristiana. Gli Scapigliati respingevano la sua ispirazione cristiana e morale, tuttavia sentivano la nostalgia e il vuoto per il venir meno dei valori della fede religiosa. Manzoni può morire perché gli "antecristi", gli scapigliati, sapranno proporre una letteratura adatta ad un epoca senza Dio.
17-32. Per gli scapigliati il lettore rappresenta quei valori tradizionali dai quali essi si sono ribellati, ed è quindi inevitabilmente "nemico", ostile ai loro progetti di rinnovamento; così il poeta proclama la propria solitudine fra un’umanità corrotta e avversa alla nobiltà dello spirito, che egli avverte in sé proprio nel tormento della sua coscienza. Non c’è più la certezza e le verità divinamente rivelate, ma i dubbi e le contraddizioni, il dualismo del "cielo", che rappresenta l’ideale, e il "loto" (fango), il reale. Pervade la "Noja", derivata dall’assenza di ideali, dal tramonto di ogni fede. 
21-26. Continua il dualismo contraddittorio, nelle litanie che sono insieme litanie di martiri e di empi, e nell’esaltazione dei sette peccati capitali, che però stanno inginocchiati nel cuore come in un tempio. E così con i "bagni d’azzurro e l’Ideale che annega nel fango". In questa strofa si esprime in modo programmatico il “maledettismo” degli scapigliati. Il poeta odia il "minio" e la "maschera" che sono i mezzi e i segni dell’ipocrisia e delle false convenzioni, odia tutto ciò che nasconde il "vero", la realtà angosciosa della vita, che proprio egli vuol cantare.    (torna al testo)

Relatrice: Laura Staccini.