Quando Vittorio Emanuele III re d'Italia autorizzò l'emarginazione degli ebrei italiani sottoscrivendo le leggi razziali del regime fascista (5 settembre 1938), erano trascorsi 16 anni dalla presa di potere di Mussolini, sedici anni di pacifica convivenza tra monarchia e stato fascista. Il tacito consenso del re al regime iniziò con il rifiuto di firmare lo stato d'assedio in occasione della marcia su Roma nel 1922: da questo momento Vittorio Emanuele rifiutò di prendere una posizione chiara sulla politica e le azioni del Duce diventandone quasi succube, a causa del suo carattere debole, cauto e conservatore e forse per paura dell'enorme potere che lui stesso aveva contribuito a concedergli e che avrebbe in teoria potuto permettergli di eliminare la monarchia, come più volte il Duce lasciò intendere di voler fare. Il re non reagì ai numerosi abusi di potere del fascismo, come le leggi fascistissime o il delitto Matteotti, dimostrandosi anzi soddisfatto dell'ordine riportato dopo i disordini del biennio rosso. E' inoltre probabile che Vittorio Emanuele ammirasse Mussolini, che lo considerasse un uomo forte adatto a guidare il paese e che fosse favorevole alla politica mussoliniana volta al rafforzamento a livello nazionale e internazionale dell'Italia. I rapporti tra fascismo e Savoia diventarono più tesi quando della famiglia entrò a far parte Maria Josè, nuora di Vittorio Emanuele III. Pur non avendo una posizione politica di primo piano, condanna di molte donne di famiglia Savoia, Maria Josè stigmatizzò più volte il comportamento di Mussolini riguardo agli ebrei e la sua alleanza con la Germania di Hitler, tanto da definire i tedeschi come "sporchi bugiardi", e stringere in segreto rapporti con intellettuali contrari al fascismo. Contrario all'antisemitismo era anche il cugino di Vittorio Emanuele, il Duca d'Aosta, che nel periodo di maggior persecuzione degli ebrei in Germania tentò di salvarne 1400 aiutato dal governo inglese e con il benestare di Mussolini, che prima dell'alleanza con Hitler non aveva dato segni di antisemitismo, garantendo anzi che nessun provvedimento sarebbe stato preso nei confronti degli ebrei. Nemmeno Vittorio Emanuele risultava antisemita, per questo è improbabile che abbia acconsentito alle leggi per odio contro gli ebrei, che per lui erano in fondo sudditi come gli altri; più plausibile è che abbia firmato con indifferenza (stessa reazione di molti italiani in quegli anni) o perché semplicemente gli era stato detto di farlo o ancora perché spaventato dalle continue minacce di Mussolini, deciso a sbarazzarsi della monarchia e a far entrare in vigore comunque le leggi, anche se il re avesse rifiutato di sottoscriverle. Impossibile è che abbia firmato per favorire l'alleanza con Hitler che lui, come del resto tutta la famiglia Savoia, disprezzava e considerava un "parvenu", un uomo giunto al potere non per diritto familiare ma partendo da una condizione umile. Il disprezzo verso Hitler era uno dei pochi elementi che lo accomunava a Maria Josè, disprezzo però che il re evitava accuratamente di mostrare in pubblico. Il consenso del re alle leggi fu comunque totale e incondizionato e la regina Elena si preoccupò solo di evitare che il suo medico di fiducia, che era ebreo, non fosse espulso. Solo in occasione del recente ritorno in Italia, la famiglia Savoia ha riconosciuto le responsabilità di Vittorio Emanuele III nell'entrata in vigore delle leggi razziali e le ha definite una macchia indelebile nella storia della famiglia.
Fonti:
Antonio Spinosa "Mussolini, il fascino di un dittatore"
http://www.anpi.it