Il fascismo tentò di ottenere il più ampio consenso anche utilizzando in modo propagandistico gli intellettuali di rilievo. Una parte del mondo della cultura aderì al fascismo attraverso l'ingresso nell'accademia d'Italia o entrando a far parte dell'Istituto Treccani; è il caso di Pirandello che si inscrisse al partito fascista dopo il delitto Matteotti.
Ricordiamo che già dai primi anni del secolo molti intellettuali avevano scelto di fare da supporto ai movimenti di8 destra, spesso anche in forme aggressive dal punto di vista politico e innovative dal punto di vista artistico (D'Annunzio, Marinetti). Ma con l'avvento al poter del fascismo, le esperienze d'avanguardia furono assimilate in una totale adesione al regime: Marinetti entrò nell'Accademia d'Italia, la cui presidenza fu assegnata nel 1937 a D'Annunzio. Anche Ungaretti aderì al fascismo e fu assunto come corrispondente dal Ministero degli Esteri.
La cultura fascista si espresse in particolare attraverso numerose riviste e correnti; Il Selvaggio e il movimento Strapaese, ad esempio manifestavano l'anima rivoluzionaria e sovversiva dello squadrismo. Il Bargello era l'organo ufficiale del partito, ma furono più importanti Critica fascista e Primato di Bottai, il quale tentò di coinvolgere gli intellettuali in un processo revisionista: frequentarono questi periodi autori come Bilenchi e Guttuso, Vittorini e Pratolini, Montale e Pavese, che diventarono poi antifascisti militanti.
Nel settembre del 1938 il regime fascista emanò le prime leggi antiebraiche, destinate nei mesi successivi a divenire un corpus consistente di provvedimenti finalizzati ad escludere gli ebrei, italiani e stranieri, da tutti i settori della vita civile, politica, economica e culturale italiana.
L'emanazione delle leggi fu preparata e accompagnata da una campagna di stampa aggressiva e denigratoria nei confronti degli ebrei che, proprio per la sua ampiezza e capillarità, non poté essere ignorata dalla maggioranza degli italiani.
La lettura della stampa, quotidiana e non, il principale mezzo di comunicazione, insieme alla radio, in un'epoca in cui non erano consentite espressioni di opinioni o fonti di informazione diverse da quelle ufficiali, consente di ricostruire gli stereotipi che il regime voleva venissero veicolati giornalmente.
Da queste pagine gli italiani non ebrei apprendevano ogni giorno di quali terribili colpe si macchiavano gli ebrei, quanto pericolosi fossero i loro comportamenti e le loro abitudini.
"Ebrei deicidi"
Da: Massimo Scaligero, Il vero volto di Israele. Gli ebrei contro il Cristianesimo, "Il Regime fascista", 1938
"…Gli Evangeli, gli Atti e le Epistole degli Apostoli ad una voce accertano e documentano che i più atroci e i più spietati nemici di Gesù, autore del Cristianesimo, e dei suoi seguaci, sono stati i Giudei.
Essi crocifissero Gesù, punirono in carcere Pietro e Giovanni e contro tutti i cristiani mossero spietatissima guerra.
Né solo al comparire del Cristianesimo, ma anche in appresso perdurarono, pertinaci nel reo consiglio..."
"Ebrei immorali"
All'immoralità per il più sordido dei delitti, quello dell'uccisione di Gesù Cristo, si aggiungeva poi una degenerazione dei costumi, sempre più evidente con il passare dei secoli, che rendeva ancor più opportuna la separazione degli ebrei dalla compagine nazionale.
"Ebrei protervi"
"Da: G. Polv., Un ebreo contro gli ebrei, "Il popolo d'Italia", 14.12.1938
"All'origine di tutti i mali è la folle presunzione dei giudei di costruire la razza eletta.
E' il razzismo ebraico che crea negli altri popoli la necessità della difesa razzista.
Il pregiudizio israelitico sulla superiorità della razza ci rende estranei ai popoli in mezzo ai quali viviamo. Ci impedisce di essere dei sinceri patrioti nei nostri rispettivi stati.
Malgrado qualche rara eccezione, la grande maggioranza degli ebrei si mantiene estranea, moralmente e spiritualmente, ai popoli che la ospitano."
"Ebrei affaristi e onnipresenti"
Numerosi, in particolare nei primi mesi del 1938, prima dell'emanazione delle leggi antisemite, furono su molti giornali, soprattutto quotidiani, gli articoli dedicati alla realtà locale in cui si sottolineava l'eccessiva presenza, l'affarismo e la tenacia tecnica di graduale e progressiva penetrazione nei gangli dell'economia nazionale dei giudei.
Ne è un esempio questo articolo sul caso milanese.
Da: Dove i giudei hanno quasi il monopolio, "Corriere della Sera", 23.9.1938
"Se si sottopone il panorama industriale e commerciale della nostra città, si ha la riprova di come certi campi siano dominati nettamente dall'ebraismo.
Quando ciò non appare dal numero degli ebrei, si evidenzia chiaramente per l'importanza finanziaria degli affari che, anche in pochi, essi rappresentano."
Tali argomenti dovevano insegnare agli italiani a guardarsi dagli ebrei, a capire quale profonda differenza ci fosse fra la cosiddetta "pura stirpe italica"e la cosiddetta "marmaglia giudaica", e dunque, in ultima analisi, dovevano far capire l'importanza e la necessità di leggi discriminatorie.
1- L'immagine dell'ebreo che doveva imprimersi nella coscienza collettiva era quella dell'elemento estraneo e inassimilabile, sia dal punto di vista razziale che spirituale.
Da Razze e razzismo, "Corriere della Sera", 20.7.1938
"L'esistenza di un numero ristretto di semiti non assimilati, gli ebrei, dimostra che un'incompatibilità, per così dire razziale, esiste tra l'italiano tipicamente occidentale e l'ebreo, tipicamente orientale, asiatico.
La vecchia terminologia, del resto, che distingueva i popoli in tre gruppi, giapetici, semitici e camitici, esprimeva in sostanza una realtà: gli italiani appartengono e sono orgogliosi di appartenere, al gruppo giapetico, che ha i caratteri più chiaramente scolpiti dei popoli conquistatori, dominatori e creatori.."
2- La formulazione di una vera e propria gerarchie delle razze e la costruzione di una "coscienza di razza"apparivano tanto più importanti in quanto, proprio a partire dall'acquisizione di un impero popolato da etnie diverse, la tutela dell'uomo italiano sembrava farsi urgente.
La rivoluzione fascista era considerata una momento fondamentale, una svolta radicale nella storia italiana: era però anche importante formulare una sorta di "invenzione della tradizione"nella storia nazionale, che dimostrasse come da secoli l'Italia fosse un paese con una precisa e definita identità.
Risalendo indietro nella vicenda storica nazionale, si sostenne che dai tempi della Roma imperiale l'Italia avrebbe costituito un'unità etnica e razziale.
La storia veniva riletta sotto una nuova luce, le cui tappe erano date appunto dell'affermarsi della purezza italiana.
La presa del potere fascista segnava l'apogeo di questa evoluzione poiché per la prima volta erano state create istituzioni specificamente preposte alla protezione, alla tutela e al potenziamento dell'italianità.
Da A. Solmi, L'unità etnica italiana, "Corriere della Sera", 8.8.1938
"L'Italia si presenta come la nazione etnicamente più pura d'Europa, con minoranze straniere che non raggiungono ilo 3%….
Il popolo italiano rivela la sua indole spirituale, fondata su base biologiche nettamente differenziate, e perciò si presenta, tra i popoli d'Europa, come un tipo a sé stante, derivato dalle progenie di Roma e rafforzato da nuovi incroci civili, ricco delle tradizioni storiche più gloriose e più remote…"
La necessità di mantenere la purezza italiana era considerata prioritaria e, sebbene non si affermasse esplicitamente cosa comportasse ciò, non è difficile desumere la necessità di provvedimenti radicali, quali sarebbero state le leggi razziali proclamate da lì a poco, affinché si evitassero le "unioni", giudicate inammissibili.
I 10 punti del Manifesto pubblicato sul "Giornale d'Italia"il 14 luglio 1938.
In prima pagina; Titolo: "Il fascismo e i problemi della razza"
(Il Giornale d'Italia del 15 luglio 1938)
Tesi redatta da 10 scienziati italiani per il "Manifesto della razza".
L'elenco delle firme sarà pubblicato solo dopo dieci giorni, il 25 luglio, dopo essere stati ricevuti dal ministro della cultura popolare Dino Alfieri e dal segretario del Pnf ACHILLE STARACE. A questi nomi seguirà un elenco di personalità italiane (180 scienziati, 140 politici, intellettuali, giornalisti) schierate a favore dei provvedimenti razzisti del Regime. (vedi sotto I NOMI)
Questo il comunicato del 25 luglio, uscito dalla segreteria politica:
"Il ministro Segretario del Partito ha ricevuto un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle Università italiane, che hanno sotto l'egida del Ministero della Cultura popolare redatto o aderito alle proposizioni che fissano la base del razzismo fascista. Erano presenti i fascisti:
* * On. Sabato Visco direttore dell'Istituto di Fisiologia generale dell'Università di Roma e direttore dell'Istituto nazionale di Biologia presso il Consiglio nazionale delle Ricerche
* Dott. Lino Businco, assistente di patologia generale all'Università di Roma
* Prof. Lidio Cipriani, incaricato di antropologia nell'Università di Firenze
* Prof. Arturo Donaggio direttore della clinica neuropsichiatrica dell'Università di Bologna, presidente della Società Italiana di psichiatria
* Dott. Leone Franzi assistente nella clinica pediatrica dell'Università di Milano
* Prof. Guido Landra assistente di Antropologia nell'Università di Roma
* Sen. Luigi Pende direttore dell'Istituto di Patologia speciale medica dell'Università di Roma
* Dott. Marcello Ricci assistente di Zoologia all'Università di Roma (di Zoologia !!! - Ndr)
* Prof. Franco Savorgnan ordinario di demografia nell'Università di Roma, presidente dell'Istituto centrale di statistica
* Prof. Edoardo Zavattari direttore dell'Istituto di Zoologia dell'Università di Roma.
Alla riunione ha partecipato il Ministro della Cultura Popolare Dino Alfieri.
Il Segretario del Partito ACHILLE STARACE, ha elogiato la precisione e la concisione della tesi, e ha ricordato che il fascismo fa da sedici anni praticamente una politica razzista che consiste -attraverso l'azione delle istituzioni del Regime- nel realizzare un continuo miglioramento quantitativo e qualitativo della razza. Il segretario del Partito ha soggiunto che il duce parecchie volte -nei suoi scritti e discorsi- ha accennato alla razza italiana quale appartenente al gruppo cosiddetto degli indo-europei.
Con la creazione dell'impero, la razza italiana è venuta in contatto con altre razze; deve quindi guardarsi da ogni ibridismo e contaminazione.
Quanto agli ebrei, essi si considerano da millenni, dovunque e anche in Italia, come una razza diversa e superiore alle altre, ed è notorio che nonostante la politica tollerante del Regime gli ebrei hanno, in ogni nazione, costituito -coi loro uomini e coi loro mezzi- lo stato maggiore dell'antifascismo.
Il Segretario ha infine annunciato che l'attività principale degli istituti di cultura fascista nel prossimo anno, sarà l'elaborazione e diffusione dei principi fascisti in tema di razza, principi che hanno già sollevato tanto interesse in Italia e nel mondo.
Questo il documento redatto sotto forma di decalogo dai 10 scienziati
Il ministro segretario del partito ha ricevuto, il 26 luglio XVI, un gruppo di studiosi fscisti, docenti nelle universita' italiane, che hanno, sotto l'egidia del Ministero della Cultura Popolare, redatto o aderito, alle proposizioni che fissano le basi del razziismo fascista. (Da, direttore Telesio Interlandi, anno I, numero1, 5 agosto 1938, p. 2).
1) Le razze umane esistono. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti
2) Esistono grandi razze e piccole razze. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente
3) Il concetto di razza è concetto puramente biologico. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze
4) La popolazione dell'Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà ariana. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L'origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell'Europa
5) È una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici. Dopo l'invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l'Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d'Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l'Italia da almeno un millennio
6) Esiste ormai una pura "razza italiana". Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana
7) È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l'italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità
8) È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall'altra. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili
9) Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempe rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani
10) I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo. L'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.
Giornale d'Italia"- 14 luglio 1938.
Il dato più singolare è che esse apparivano in netto contrasto con non poche dichiarazioni di Mussolini (che aveva avuto anche una importante relazione con un'ebrea, Margherita Sarfatti), e con la presenza di numerosi ebrei nelle file fasciste.
Ancora nel 1932 Mussolini aveva nominato ministro delle Finanze Guido Jung, con la motivazione data in privato, ma attendibile che "quello che ci voleva alle finanze era un ebreo".
Questa giustificazione della nomina rivelava la apparente assenza, e sotterranea presenza di un filone antisemita nel gretto mondo intellettuale.
L'appoggio alle leggi venne soprattutto -come scrisse Guido Fubini- da alcuni settori della "piccola borghesia dell'amministrazione, del commercio minuto, delle professioni, degli impieghi", che approfittarono di esse per occupare i posti resisi vacanti anche nelle scuole e nelle università, da cui furono esclusi molti ottimi docenti, a beneficio di squallidi arrampicatori.
Massimo Bontempelli, nato a Como nel 1878, per molti anni docente di italiano esercitò una notevole influenza sul dibattito letterario degli anni venti e trenta. Aderì al fascismo, ebbe cariche di regime, nel 1930 fu nominato accademico d'Italia ma nel 1938 rifiutò la nomina a professore universitario per succedere ad Attilio Momigliano radiato per le leggi razziali. Negli anni di guerra maturò una revisione delle sue ideologie, e alle elezioni del 1948 fu eletto senatore nelle liste del Fronte popolare: la nomina fu però invalidata per i suoi trascorsi fascisti. Morì a Roma nel 1960.
Non mancarono, all'interno del vasto panorama fascista, voci di dissenso, ma molte di queste subirono una dura repressione o ebbero guai con la censura: Gobetti morì per le percosse subite dai fascisti, Gramsci morì in carcere, i fratelli Rosselli furono uccisi in Francia da sicari fascisti, Bernari e Moravia ebbero difficoltà a far circolare i loro romanzi, Silone visse in esilio, la rivista Solaria, la più ricca officina letteraria del ventennio, fu chiusa nel 1936.
L'opposizione al fascismo nel mondo della cultura si raccoglie idealmente attorno alla figura di Benedetto Croce, promotore e firmatario del Manifesto degli intellettuali antifascisti (1925) che, raccogliendo un buon numero di firme soprattutto nell'ambiente universitario, rimane un simbolo e un punto di riferimento per quanti non vogliono piegarsi al fascismo. La rivista crociana "La Critica"appena tollerata dal regime per la notorietà internazionale del suo direttore, è l'unica voce libera e indipendente e sulle sue colonne molti giovani apprendono la "religione della libertà".
Le prime ondate migratorie antifasciste si erano dirette negli anni 1921-22 verso la Francia e il Belgio, e in misura minore verso Austria e Germania, mescolandosi spesso alla tradizionale emigrazione per ragioni di lavoro: ma già numerosi erano i lavoratori colpiti da bandi dei ras fascisti, costretti ad abbandonare i paesi d'origine per paura di rappresaglie. Non pochi si diressero anche verso l'Unione Sovietica, la patria del socialismo, dove in seguito rimasero vittime delle purghe staliniane. Accanto a questa emigrazione di base, formata di modesti lavoratori e di artigiani, colpevoli spesso di aver risposto armi alla mano alle incursioni squadriste ed alla conseguente capillare distruzione degli istituti politici ed economici della classe lavoratrice, attorno al 1925 cominciarono a scegliere la via dell'esilio personaggi come l'ex presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti, l'ex segretario del Partito popolare don Luigi Sturzo (per pressioni a cui non rimase estraneo il Vaticano), l'ex direttore del quotidiano "Il Popolo", il cattolico Giuseppe Donati e lo storico e professore universitario Gaetano Salvemini; dietro di essi, con la promulgazione delle leggi eccezionali del novembre 1926, molti altri uomini politici democratici preferirono l'esilio alla perdita della libertà e delle garanzie costituzionali.
I fascisti li chiamarono subito con disprezzo "fuorusciti", non volendo riconoscere come esiliati od esuli quanti erano espatriati clandestinamente, grazie a guide improvvisate o a contrabbandieri compiacenti, spesso con documenti falsi. Le leggi eccezionali consentirono anche la confisca dei beni personali dei "fuorusciti", che come tali perdevano anche la cittadinanza italiana. Le zone di emigrazione prescelta dai nuclei dirigenti dei partiti antifascisti furono la Francia (Parigi in particolare, ma anche Lione, Marsiglia, Nizza, Tolone, dovunque fosse possibile trovare un lavoro anche modesto), la Svizzera e il Belgio.
In Francia si ritrovò tutto lo Stato Maggiore del PSI e del PSU (che nel 1930 si riunificarono) da Pietro Nenni a Alessandro Pertini, da Giuseppe Emanuele Modigliani a Filippo Turati, da Giuseppe Saragat a Angelica Balabanoff; repubblicani come i fratelli Mario e Guido Bergamo, Randolfo Pacciardi, Silvio Trentin; il nuovo gruppo di Giustizia e Libertà costituito nell'autunno 1929 da Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Fausto Nitti (evasi questi ultimi dal confino di Ponza con una rocambolesca fuga in motoscafo), che giunse in breve ad aggregare intorno a sé non solo la parte più combattiva di quanto era sopravvissuto della primitiva concentrazione antifascista, ma anche molti giovani entusiasti che, spesso a prezzo della vita, prepararono azioni dimostrative che suscitarono vasta eco all'estero: come l'attentato di Fernando De Rosa al principe ereditario Umberto (1929), i voli di Giovanni Bassanesi su Milano (1930) e di Lauro De Bosis su Roma (1931) per lanciare manifestini antifascisti inneggianti alla rivolta.
Accanto e spesso parallelamente operava il gruppo dirigente del PCI (Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Ruggero Grieco, Giuseppe Di Vittorio, Mario Montagnana) a cui via via si aggiunsero (o si sottrassero) le vittime della repressione fascista. L'attività antifascista dei comunisti fu difatti rivolta con continuità ad introdurre in Italia materiale propagandistico ed a formare quadri organizzativi, in grado di mantenere viva sui luoghi di lavoro e nel paese la voce dell'opposizione al regime trionfante, di sostanziare la speranza della sua prossima, necessaria caduta. Il costo di questa costante attenzione all'Italia fu altissimo in uomini e in mezzi: l'attività intensa del Tribunale speciale per la difesa dello Stato (che erogò un totale superiore ai 23.000 anni di carcere a 4030 comunisti su un totale di 4671 condannati) e delle commissioni provinciali per il confino ne sono una testimonianza inconfutabile.
Ma anche la vita all'estero di questi irriducibili oppositori al regime fu assai difficile e pericolosa: improntata alle più rigide norme cospirative, per la presenza di numerose spie e di provocatori al soldo dell'OVRA, in genere assai appartata e il più delle volte completamente clandestina, per sfuggire ogni contatto con la polizia locale, sempre pronta ad espellere i "sovversivi"e spesso disposta a consegnare ai colleghi italiani gli arrestati. Scarsi i contatti con gli amici e con la famiglia, spesso rimasta in Italia e sottoposta al ricatto e all'intimidazione dei fascisti; molto intensi invece gli impegni di lavoro e di studio.
Spesso aiutati dai partiti democratici locali, gli antifascisti riuscirono a mobilitare l'opinione pubblica straniera organizzando comizi, convegni e manifestazioni di solidarietà con le vittime della reazione (ricordiamo quelle per Sacco e Vanzetti e le continue campagne in favore della liberazione di Gramsci dal carcere, che videro mobilitati anche gran parte degli intellettuali democratici di tutto il mondo). L'opinione pubblica straniera fu spesso sollecitata a prendere coscienza del carattere bellicistico della politica estera fascista: nel 1928-29 si agitò il pericolo di una nuova guerra mondiale mentre nel 1935 si cercò la mobilitazione contro l'aggressione fascista all'Etiopia; l'anno dopo la denuncia dell'intervento mussoliniano e hitleriano in Spagna a fianco del ribelle Francisco Franco si accompagnò alla decisione di accorrere a difendere armi alla mano la Repubblica spagnola nelle file delle Brigate Internazionali. Le formazioni garibaldine, costituite sia dai "fuorusciti"che da numerosi giovani accorsi da ogni parte d'Italia, si batterono contro i legionari fascisti, sconfiggendoli pesantemente a Guadalajara e lasciando sui campi di battaglia numerosi caduti. "Oggi in Spagna, domani in Italia"fu il grido, fatto proprio da tutti i combattenti, di Carlo Rosselli, che di lì a poco doveva cadere assieme al fratello Nello sotto il pugnale dei sicari fascisti a Bagnoles sur l'Orne (9 giugno 1937).
Furono queste le esperienze che formarono gruppi consistenti di militanti e di combattenti, che dettero prova del loro valore anche nella resistenza francese e belga contro l'occupazione nazista: alla caduta del fascismo, il rientro in Italia dei "fuorusciti"e la liberazione dei condannati politici dal carcere e dal confino concorsero a costituire la spina dorsale di quel movimento nazionale e unitario a cui vennero avvicinandosi e legandosi i piccoli nuclei di giovani, che spesso all'interno stesso delle organizzazioni e degli istituti del regime, erano venuti maturando una prima coscienza antifascista. La saldatura fra questi due momenti diversi dell'opposizione al regime ha consentito prima la conclusione vittoriosa della lotta al nazifascismo e poi il ristabilimento della democrazia nel nostro paese, in un lungo processo che ancor oggi non vede liquidate tutte le sopravvivenze del regime nella nostra legislazione e nella vita politica.