Che cosa fece la Chiesa cattolica per
evitare la Shoah? E' un argomento molto dibattuto, così come la figura
di Papa Pacelli, Pio XII. C'è chi afferma sia stato troppo tenero con
i nazisti non avendo fatto nulla per impedire lo sterminio degli
ebrei,
e
chi
invece
sottolinea il dato indiscutibile dell'aiuto prestato agli ebrei
nel periodo delle deportazioni. La Chiesa dal canto suo sostiene che,
adottando una linea sostanzialmente neutrale, abbia evitato stragi
ben più gravi
e consentito ai sacerdoti una maggiore libertà d'azione. Ma sono in
molti a pensare che un'aperta condanna da
parte del papa avrebbe potuto
frenare
la furia nazista.
Sulla questione delle persecuzioni naziste, dello sterminio degli ebrei
e del passato atteggiamento della Chiesa, le parole di Giovanni Paolo
II sono state inequivocabili: "Abbiamo sbagliato verso di voi, fratelli
ebrei, e vi chiediamo scusa". Un gesto solenne che va apprezzato. Tuttavia
la Commissione che ha incaricato di investigare sul ruolo della Chiesa
nella diffusione dell'antisemitismo moderno ha concluso, nel rapporto
del '98 ("Noi ricordiamo"), che la Chiesa non ha responsabilità per l'Olocausto.
La commissione ha dichiarato che nel passato la Chiesa ebbe un ruolo
nel diffondere un'immagine negativa degli ebrei solamente sotto l'aspetto
religioso, mentre l'antisemitismo moderno, che ha contribuito ad aprire
la strada alla Shoah, si componeva di immagini negative degli ebrei in
ambito sociale, economico, politico e razziale.
Ma perché il Vaticano si rifiuta ancora di aprire i suoi archivi relativi
alla seconda guerra mondiale? I dodici volumi pubblicati dalla Santa Sede
non bastano a chiarire i rapporti di Pio XII con il nazismo, il suo silenzio
sul massacro dei campi e dei forni crematori. Troppe le omissioni e i documenti
mancanti. Perché? Gli archivi nascondono forse alcune verità che il Vaticano
non vuole far conoscere? Restano quindi senza risposta gli interrogativi
di fondo sulla
condotta di Pio XII nei confronti dello sterminio degli ebrei, e sulle scelte
politiche compiute durante gli anni cruciali 1938-1945 e fino a quando il
Vaticano non aprirà i suoi archivi non sarà possibile una risposta completa
e persuasiva.
L'atteggiamento della Chiesa di fronte all'antisemitismo e alle legislazioni razziali è una questione molto ampia e complessa. Al di là dei compromessi pratici, particolarmente evidenti e vistosi durante la guerra nell'opera dei vari collaborazionismi, che videro spesso cattolici in posizioni di primo piano, è necessario chiedersi anche in che misura la Shoah fu facilitata da sordità, indifferenze, ostilità, che trovarono nella tradizione cristiana e nell'insegnamento della Chiesa una ragion d'essere e una giustificazione. La tradizionale polemica cattolica antiebraica aveva segnato, dagli ultimi decenni dell'Ottocento, un
po' in tutti i paesi europei, non solo una vivace ripresa ma anche un allargamento di temi, di motivazioni, di obiettivi. Alle antiche accuse, proprie del discorso teologico-religioso, sulla "durezza" e l'accecamento degli ebrei, sul popolo "deicida", sulla sua intrinseca immoralità e corruzione, sulla diaspora come risultato del castigo divino, sulla pratica dell'omicidio rituale, come attestazione della continuità del loro odio anticristiano, si erano mescolate e sovrapposte argomentazioni politiche e sociali che vedevano nella crescente influenza ebraica sulla vita civile, un fattore essenziale della scristianizzazione di cui la società era minacciata. Il clima di insofferenza nei confronti degli ebrei era frutto di un pregiudizio largamente diffuso in vaste cerchie cattoliche, proclamato sia nei piccoli e modesti bollettini parrocchiali, sia nelle alte riviste di cultura ad iniziare da "La Civiltà Cattolica". Alle porte del XX secolo la rivista pubblicò una serie di 36 articoli violentemente antisemitici: "Che se questa ebraica razza straniera è lasciata troppo libera di sé, diventa subito persecutrice, vessatrice, tiranna, ladra e devastatrice dei paesi dove si stabilisce... Per impedire che questa razza perseguiti o sia perseguitata, sono necessari i freni sapienti e leggi speciali a sua non meno che nostra difesa e salute".
Il giornale del Vaticano, L'osservatore romano, faceva appello a un "sano antisemitismo" e metteva i cattolici in guardia contro i pericoli causati dall'emancipazione degli ebrei. Ben presto si generò la
contrapposizione di due fronti: una maggioranza intransigente antisemita a cui si oppose una minoranza pronta al dialogo e al riconoscimento del significato dell'ebraismo nella cultura e nella storia. Tuttavia la reale causa che poneva ancora una volta ai ferri corti gli ebrei con la Santa Sede era la possibilità che si ventilava fin dal 1917 di far ritornare i giudei in Palestina favorendo la creazione di uno Stato libero di Israele. Una simile possibilità accolse l'immediato disappunto della Santa Sede e di moltissimi ambienti cattolici, solleciti a difendere l'autonomia dei "Luoghi Santi", tutelando di pari modo tutte le Comunità cattoliche della Palestina. A completare il quadro della situazione giunse, nel 1928, la condanna da parte del S.Uffizio di "Amici di Israele", un'associazione che raccoglieva qualche vescovo ed un migliaio di sacerdoti italiani ed olandesi. Anche se non vi era stata nessuna posizione ufficiale contro gli ebrei si era voluto manifestare, attraverso questa condanna, quale fosse la linea politica al di là delle mura Vaticane nei confronti della possibilità della creazione di uno Stato d'Israele.
La commissione mista di storici (sei cattolici e sei ebrei), nata due anni fa per analizzare la questione, si è di fatto sciolta per le dimissioni della componente ebraica. Quest'ultima decisione è stata motivata con la mancata apertura degli archivi della Santa Sede per il periodo 1939-45. Si risponde però, da parte cattolica, che quella apertura non era mai stata promessa (attualmente gli archivi sono consultabili fino al 1922 e dal 15 febbraio 2003 quelli dal 1922 al 1939) e che alla commissione spettava analizzare quanto già pubblicato nella raccolta ufficiale degli Atti e documenti della Santa Sede relativi alla Seconda guerra mondiale.
I volumi pubblicati dal Vaticano non registrano alcuna reazione della Santa Sede alla cosiddetta "notte dei cristalli", quando i nazisti nel 1938 in tutta la Germania bruciarono sinagoghe e devastarono negozi ebrei.
Sgomenta apprendere che il maresciallo Petain nel 1941 informò il Vaticano delle misure antisemite prese dal suo governo, quello di Vichy, su pressione della Germania, e la Santa Sede rispose che non aveva obiezioni a patto che le misure antiebraiche fossero "amministrate con giustizia e carità".
Nell'agosto 1942 il vescovo di Leopoli dà notizia al Vaticano delle atrocità naziste ai danni degli ebrei ucraini. Non risulta agli atti nessuna risposta. Il vescovo cattolico di Berlino scrive a Pio XII sollecitando un intervento a favore degli ebrei tedeschi. Il Papa risponde che tocca ai "vescovi locali" decidere quando parlare e quando tacere al fine di evitare rappresaglie.
Gli estimatori di Pio XII hanno tentato di liquidare la questione ricorrendo a varie argomentazioni. Anzitutto, sostenendo che il Vaticano aveva scarsa conoscenza di quanto accadeva nei lager tedeschi e nei territori occupati dalle armate hitleriane, e che dunque papa Pacelli fosse ignaro delle reali dimensioni della barbarie nazista. Ma gli stessi Adss (Atti e documenti della Santa Sede relativi alla Seconda guerra mondiale, ndr) hanno confermato la totale infondatezza di questa argomentazione. Il Vaticano sapeva tutto.
Come è poi emerso dagli archivi del servizio segreto militare americano (Oss), e dagli stessi documenti raccolti negli Adss, Pio XII era perfettamente a conoscenza delle modalità e delle dimensioni degli stermini hitleriani. Tanto più che personalità del mondo ebraico, di quello serbo-ortodosso e esponenti del clero cattolico nei Paesi occupati dai nazisti, avevano rivolto al Vaticano, negli anni, continue e drammatiche suppliche perché il pontefice levasse la voce della Chiesa di Roma contro gli aguzzini.
Alcuni agiografi hanno affermato che papa Pacelli condannò apertamente e pubblicamente il nazismo, e a sostegno della loro tesi hanno citato in particolare il messaggio papale diffuso dalla Radio Vaticana in occasione del Natale 1942. Proprio quell'episodio testimonia di come Pio XII fosse a conoscenza della situazione; ma nel merito, il radiomessaggio papale del Natale 1942 fu così generico, elusivo e permeato di ambiguità che lo stesso Benito Mussolini lo definì "un discorso di luoghi comuni, che potrebbe essere fatto anche dal parroco di Predappio".
Altra argomentazione accampata in difesa di Pio XII, l'azione umanitaria svolta dal Vaticano per sottrarre molte vittime alla persecuzione hitleriana. Secondo questa tesi, l'azione misericordiosa della Santa Sede guidata da papa Pacelli avrebbe salvato decine di migliaia di vittime predestinate. Effettivamente parecchi religiosi, negli anni fra il 1941 e il 1945, si prodigarono per aiutare e salvare i perseguitati: in numerosi conventi nascosero e protessero molte vittime predestinate; e fra le stesse mura vaticane trovarono rifugio oppositori del nazifascismo. Ma si trattò di episodicità umanitarie contingenti, perlopiù dovute a autonome iniziative di singoli, avulse da una qualche strategia vaticana; tanto è vero che altri esponenti del clero si comportarono in maniera opposta, ma non vennero mai colpiti da alcuna sanzione da parte della Curia romana.
Altri biografi di Pio XII hanno sostenuto che "i silenzi" del Vaticano furono un prudente tatticismo di papa Pacelli per non esporre i cattolici tedeschi e la stessa Chiesa alle rappresaglie hitleriane: realpolitik, volta a evitare il peggio, dovuta alla formazione più diplomatica che pastorale di Pio XII. Una tesi, questa, che ha accomunato critici e estimatori del controverso pontefice, ma che un'ampia documentazione storica ha contraddetto. Infatti, il papa-diplomatico non fu mai né prudente né silente, né mosso dalle cautele della realpolitik verso il "comunismo ateo" da lui ritenuto - a differenza del nazifascismo - un pericolo letale per la Chiesa.
E da pontefice era poi arrivato a colpire con la scomunica tutti i cattolici italiani che "liberamente e consapevolmente" avessero aderito e sostenuto il comunismo, un anatema che Pio XII non aveva mai rivolto né al cattolico Hitler né a Benito Mussolini.
Secondo lo storico Carlo Falconi, malgrado le dettagliate notizie che costantemente riceveva (in primo luogo dal clero cattolico), Pio XII non si erse mai contro il nazismo, neppure durante l'Olocausto. Egli riteneva che il nazismo fosse un male minore rispetto al bolscevismo e alla Russia di Stalin. In sostanza Pio XII cadde in un colossale errore di valutazione e di prospettiva. (Tratto dalla premessa di ""Dio è con noi!"-La Chiesa di PioXII complice del nazifascismo" di Marco Aurelio Rivelli)
Molti dei documenti sono suscettibili di diverse interpretazioni. L'interpretazione è inevitabile nel lavoro storico. La questione sulla politica vaticana verso gli Ebrei e il razzismo è molto complessa, le polemiche al riguardo sono destinate a proseguire e probabilmente difficilmente la questione troverà una soluzione univoca.
Bricca Sara
Fonti:
http://www.adista.it/numeri/adista02/adi54/adi54-pioXII-2.htm
http://www.ildialogo.org/ebraismo/pio12.htm
I dilemmi e i silenzi Pio XII - Giovanni Miccoli, Milano: Rizzoli 2000