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Brani sul popolo ebraico tratti dagli scritti di Nietszche |
L'uomo Europeo e la distruzione delle nazioni. Il commercio e l'industria, lo scambio di libri e lettere, la comunanza di tutta la cultura superiore, il rapido mutar di luogo e di paese, l' odierna vita nomade di tutti coloro che non posseggono terra - queste circostanze portano necessariamente con sé un indebolimento e alla fine la distruzione delle nazioni, per lo meno di quelle europee; sicché da esse tutte, in seguito ai continui incroci, dovrà nascere una razza mista, quella dell'uomo europeo. Contro questa meta opera oggi, consapevolmente o inconsapevolmente, l'isolamento delle nazioni dovuto alla fomentazione di inimicizie nazionali, ma lentamente quel mescolamento fa lo stesso il suo cammino, nonostante le temporanee correnti contrarie: questo nazionalismo artificiale è del resto tanto pericoloso quanto lo è stato il cattolicesimo artificiale, giacché è nella sua essenza uno stato d'emergenza e d'assedio, che è stato proclamato da pochi su molti, e ha bisogno d'astuzia, menzogna e violenza per mantenersi in credito. Non l'interesse dei molti (dei popoli) come ben si dice, bensì innanzitutto l'interesse di determinate dinastie regnanti e poi quello di determinate classi del commercio e della società, spingono a questo nazionalismo; una volta che si sia riconosciuto ciò, bisogna dirsi francamente solo buoni Europei e contribuire con l'azione alla fusione delle nazioni: alla qual impresa i Tedeschi possono collaborare con la loro vecchia e provata qualità di fare da interpreti e da mediatori dei popoli. Incidentalmente: l'intera questione ebraica esiste solo entro gli stati nazionali, in quanto qui dappertutto l'efficienza e superiore intelligenza degli Ebrei, il capitale di spirito e di volontà da essi accumulato di generazione in generazione in una lunga scuola di dolore, sono destinati e prevalere in misura tale, da risvegliare invidia e odio, sicché oggi in quasi tutte le nazioni, cioè quanto più esse tornano ad assumere un atteggiamento nazionalistico - dilaga il malcostume letterario di condurre gli Ebrei al macello come capri espiatori di tutti i possibili mali pubblici e interni. Ma non appena si tratti non più di conservare delle nazioni, bensì di produrre una razza mista europea quanto più possibile robusta, l'ebreo è come ingrediente altrettanto idoneo e desiderabile di qualsiasi residuo nazionale. Qualità spiacevoli, anzi pericolose, ha ogni nazione, ogni uomo; è crudele pretendere che l'Ebreo debba fare eccezione. Quelle qualità possono essere in lui addirittura pericolose e temibili in misura particolare; e forse il giovane finanziere ebreo è l'invenzione più rivoltante della razza umana in genere. Tuttavia vorrei sapere quanto, in un calcolo complessivo, non si debba perdonare a un popolo che, non senza colpa di noi tutti, ha avuto fra tutti i popoli la storia più dolorosa, e a cui si devono l'uomo più nobile (Cristo), il saggio più puro (Spinoza), il libro più possente e la legge morale di più vasta efficacia. Inoltre: nei tempi più oscuri del Medioevo, quando lo strato di nubi asiatico si era accampato pesantemente sull'Europa, furono liberi pensatori, dotti e medici ebrei, che tennero alto il vessillo del rischiaramento e dell'indipendenza spirituale, a costo della più dura costrizione personale, e che difesero l'Europa contro l'Asia; non è il nostro minor debito di gratitudine verso i loro sforzi, se alla fine poté ancora trionfare un'interpretazione del mondo più naturale, più conforme alla ragione e in ogni caso non mitica, e se l'anello di civiltà che oggi ci congiunge con la cultura dell'antichità greco-romana non fu spezzato. Se il cristianesimo ha fatto tutto per orientalizzare l'occidente, in compenso l' ebraismo ha essenzialmente contribuito a occidentalizzarlo sempre di nuovo: il che in un certo senso equivale a fare del compito e della storia dell' Europa una continuazione di quella greca.
Gli istinti trasformati dai giudizi morali. Lo stesso istinto si sviluppa nel penoso sentimento della viltà, sotto l'impressione del vituperio che il costume ha connesso a questo istinto; oppure si sviluppa nel gradevole sentimento dell'umiltà, nel caso che un costume, come quello cristiano, se lo sia preso a cuore e lo abbia dichiarato buono. La qual cosa significa: è inerente a tale carattere e denominazione morale, e neppure una determinata sensazione concomitante di piacere e dispiacere: tutto questo, come sua seconda natura, lo acquisisce soltanto quando si mette in relazione con istinti già battezzati come buoni e cattivi, oppure quando si nota in esso una caratteristica di esseri che avuto, riguardo all'invidia, un sentimento diverso dal nostro; Esiodo l'annovera tra gli sono già determinati e valutati dal popolo come morali. Così i più antichi Greci hanno effetti della buona, benefica Eris, e non c'era niente di urtante nell'attribuire agli dèi qualcosa di connesso con l'invidia. Comprensibile tutto questo in uno stato di cose di cui l'agone era l'anima; l'agone peraltro era determinato e valutato come buono. Similmente i Greci erano diversi da noi nell'apprezzamento della speranza: la si sentiva come cieca e insidiosa; Esiodo si è espresso su di essa, in una favola, con i termini più forti ed in verità ha accennato qualcosa di così inusitato che nessun esegeta moderno lo ha compreso. Infatti ciò va contro lo spirito moderno, che con il sorgere del cristianesimo ha imparato a credere alla speranza come ad una virtù. Nei Greci invece, ai quali non sembrava del tutto precluso l'accesso alla conoscenza del futuro, e per i quali in numerosi casi interrogare il futuro era divenuto un dovere religioso, mentre noi ci contentiamo della speranza, per i Greci dunque, grazie a tutti gli oracoli e indovini, la speranza dovette subire una certa retrocessione di valore e sprofondare nel malvagio e nel pericoloso. Gli Ebrei hanno avuto riguardo all'ira, un sentimento diverso dal nostro e l'hanno detta sacra; in cambio essi hanno veduto la cupa maestà dell'uomo, con la quale essa si mostrava associata, ad una tale altezza tra di loro, che un europeo non è in grado di rappresentarsela; essi hanno plasmato il loro sacro Geova adirato, sul modello dei loro santi profeti, invasi dall'ira! In confronto a loro i grandi iracondi tra gli Europei sono quasi prodotti di seconda mano.
Del popolo d' Israele. -A gli spettacoli cui ci invita il secolo venturo
appartiene la decisione circa la sorte degli Ebrei europei. Che essi abbiano
tratto il loro dado, passato il loro Rubicone, oggi lo si può toccare con
mano: a loro resta soltanto di divenire i padroni d'Europa, oppure di
perdere l'Europa, cos' come una volta, molto tempo fa, persero l'Egitto,
dove si erano posti dinanzi ad un analogo aut- aut.
In Europa però hanno fatto una scuola di diciotto secoli, come nessun altro
popolo può qui mostrare di avere compiuto, e proprio in maniera tale che le
esperienze di questo terribile periodo di tirocinio sono tornate a favore
non tanto della comunità quanto piuttosto dei singoli.
In seguito a questo fatto, le risorse psichiche e intellettuali presso gli
Ebrei di oggi sono straordinarie; essi, per sfuggire ad una profonda
inquietudine, fanno ricorso più raramente, di tutti coloro che vivono in
Europa, al bere o al suicidio, - cose queste che invece sono assai vicine a
chi è scarsamente dotato.
Ogni Ebreo ha nella storia dei suoi padri e dei suoi nonni una miniera di
esempi della più fredda riflessione e perseveranza in situazioni terribili,
del più sottile aggiramento e sfruttamento della fortuna e del caso; il loro
coraggio sotto il untelo della compassionevole sottomissione, il loro
eroismo nello spernere se sperni, supera le virtù di tutti i santi.
Si è voluto renderli spregevoli trattandoli sprezzantemente per duemila
anni, e si è loro negato l'accesso a tutti gli onori, a tutto ciò che è
onorevole; per questo si sono ricacciati tanto più in basso nei loro sudici
mestieri- e in verità, sottoposti a questi trattamenti, non sono divenuti
più puliti.
Ma spregevoli? Essi non hanno mai cessato di reputarsi chiamati alle cose
più alte e così le virtù di tutti i sofferenti non hanno mai cessato di
adornarli.
Il modo in cui essi onorano i loro padri e i loro figli, la razionalità dei
loro matrimoni e usanze nuziali li distinguono tra tutti gli Europei.
Oltretutto seppero crearsi, proprio da quei mestieri che furono loro
lasciati (o ai quali furono abbandonati), un senso di potenza e di eterna
vendetta; va detto, a scusa perfino della loro usura, che senza questa
occasionale, gradevole, utile tortura dei loro disprezzatori, difficilmente
avrebbero resistito ad avere per così lungo tempo stima di se stessi.
Giacché la nostra stima per noi stessi è legata al fatto che possiamo
esercitare un contraccambio nel bene e nel male.
Nonostante ciò, difficilmente la loro vendetta li trascina troppo lontano:
perché possiedono tutti quella liberalità intellettuale che è anche
liberalità d'animo, a cui il frequente mutamento di luogo, di clima, di
costumi dei vicini e degli oppressori educa l'uomo; essi possiedono di gran
lunga la più grande esperienza nei rapporti umani ed esercitano anche nella
passione la cautela di questa esperienza. Sono così sicuri della loro
spirituale duttilità e scaltrezza, che non hanno bisogno, nemmeno nella più
aspra situazione, di guadagnarsi il pane con la forza fisica, come semplici
lavoratori, facchini, servi della gleba. Si nota anche nelle loro maniere
che non furono mai dati loro sentimenti cavallerescamente nobili nell'anima
e splendide armi per il corpo: una certa invadenza si alterna con un
servilismo spesso delicato, quasi sempre penoso. Ma oggi che
ineluttabilmente, di anno in annosi imparentano sempre di più con la
migliore nobiltà europea, si formeranno presto una buona eredità di maniere
dello spirito e del corpo: così che in un centinaio di anni avranno già uno
sguardo abbastanza nobile per non suscitare, come padroni, vergogna nei loro
sottoposti. E questo è importante! Perciò una decisione sul loro caso per
adesso è ancora prematura!Essi sanno bene di non poter pensare ad una
conquista dell'Europa e ad un qualche atto di violenza: ma sanno pure che
l'Europa prima o poi dovrebbe cadere come un frutto pienamente maturo nella
loro mano, purché questa si tenda appena verso di esso. Frattanto essi hanno
bisogno, a tal fina, di eccellere in tutti i campi della distinzione europea
e di essere tra i primi: finché non si spingeranno tanto avanti da
determinare loro stessi cos' è che deve conferire l' elemento di
distinzione. Allora verranno chiamati gli scopritori e i precursori Europei
e non ne offenderanno il pudore. E dove è indirizzata questa abbondanza di
grandi impressioni accumulate, che la storia ebraica costituisce per ogni
famiglia ebrea, questa abbondanza di passioni, di virtù, di decisioni di
rinunce, di lotte, di vittorie d'ogni tipo - dove dovrà sfociare se non,
infine, in grandi uomini e in grandi opere dello spirito? Allora, quando gli
Ebrei potranno mostrare l'opera loro in tali pietre preziose e vasi dorati,
quali i popoli europei di più recente e meno profonda esperienza non sono
stati e non sono capaci di produrre, quando Israele avrà trasformato la sua
eterna vendetta in un' eterna benedizione per l'Europa: allora tornerà
ancora una volta quel settimo giorno, in cui l'antico Dio giudaico potrà
gioire di se stesso, della sua creazione e del suo popolo eletto, - e noi
tutti ci rallegreremo con lui.
La purificazione della razza. -Forse non esistono razze pure, ma soltanto
razze divenute pure, e anche queste sono assai rare. Normalmente si hanno
razze miste, presso le quali si devono trovare sempre, insieme alla
disarmonia di forme corporee(per esempio quando occhi e bocca non si
accordano tra di loro), anche disarmonie di abitudini e di concetti di
valore. (Livingstone una volta sentì qualcuno dire: " Dio creò gli uomini
bianchi e neri, il diavolo però creò i mezzo sangue".)
Razze miste sono sempre nello stesso tempo anche culture miste, moralità
miste: sono per la maggior parte più malvagie, più crudeli, più irrequiete.
La purezza è l'ultimo risultato di innumerevoli adattamenti, assorbimenti e
separazioni, e il progresso verso la purezza si mostra nel fatto che la
forza presente in una razza si limita sempre più a singole funzioni
selezionate, mentre prima doveva provvedere a troppe cose e spesso
contraddittorie: una tale limitazione si presenterà sempre al contempo anche
come un impoverimento e deve essere giudicata con cautela e delicatezza.
Alla fine però, quando il processo di purificazione è riuscito, tutta quella
forza che in precedenza si esauriva nella lotta delle qualità disarmoniche,
sarà a disposizione nell'intero organismo: per questo motivo le razze
divenute pure sono sempre divenute anche più forti e più belle. - I Greci ci
danno il modello di una razza e di una cultura divenute pure: e speriamo che
una buona volta si realizzi anche una pura razza e una pura civiltà europea.
Origine del peccato. Il peccato, così come lo si sente oggi in tutti i
luoghi dove domina il cristianesimo o ha dominato in passato, il peccato è
un sentimenti ebraico e un'invenzione ebraica, e se si considera questo
sfondo di tutta la moralità cristiana, ci si rende conto che il
cristianesimo di fatto ebbe di mira "l'ebraizzazione" del mondo intero Fino
a che punto gli sia riuscito in Europa, lo si avverte nel modo più sottile
dal grado di estraneità che l'antichità greca -un mondo senza senso del
peccato-continua pur sempre ad avere per la nostra sensibilità, nonostante
tutta la buona volontà d'avvicinarsi e assimilarla che non è mancata a
intere generazioni e a molti individui ragguardevoli. "Solo se ti penti, Dio
ti usa misericordia"- questo sarebbe per un Greco motivo di riso e di
irritazione; egli direbbe: "Questo è un sentire da schiavi". Qui si
presuppone un essere possente, ultrapossente, e tuttavia avido di vendetta:
la sua potenza è così grande che in nessun modo gli può essere fatta
ingiuria, salvo che sul punto dell'onore. Ogni peccato è un venir meno al
rispetto, un crimen laesae majestatis divinae-e nulla più! Essere contriti,
avviliti, rotolarsi nella polvere- questa è la prima e ultima condizione cui
si riconnette la sua grazia: reintegrazione quindi nel suo onore divino! Se
per altro verso, con il peccato si cagiona un danno, se con esso mette
radici una grave e crescente calamità che, come un morbo, afferra e
strangola un uomo dopo l'altro- tutto ciò lascia indifferente questo
orientale avido di onori nella sua sede celeste: il peccato è un offesa
recata a lui non all'umanità!-A chi egli ha elargito la sua grazia egli
elargisce anche questa indifferenza per le naturali conseguenze del peccato.
(…)
I Greci al contrario trovarono più naturale il pensiero che anche il crimine
potesse avere una sua dignità- persino il furto, perfino la strage di
bestiame in quanto sfogo di un invidia furibonda, come per Aiace: nella loro
esigenza di attribuire una dignità al del delitto e di incarnarvela, essi
hanno inventato la tragedia - un'arte e un godimento che all'ebreo
nonostante tutta la sua attitudine per la poesia e la sua inclinazione al
sublime sono rimasti i estranei nella loro essenza più profonda.
Gli Ebrei, che tra tutti i popoli si sentono il popolo eletto, e proprio per il fatto che tra i popoli essi rappresentano il genio morale (in virtù della capacità che hanno avuto di disprezzare l'uomo in sé più profondamente di qualsiasi altro popolo) -gli Ebrei provano per il loro divino monarca e il loro santo un diletto simile a quello che la nobiltà francese provava per Luigi XIV. Questa nobiltà si era lasciata sottrarre tutta la sua potenza e sovranità ed era divenuta spregevole: per non sentire tutto questo, per poter dimenticare tutto questo, aveva bisogno di una magnificenza regale, di una regale autorità e di una pienezza impareggiabile di potenza, cui soltanto alla nobiltà fosse dato accedere. Elevandosi all'altezza della Corte conformemente a questo privilegio e vedendo tutto sotto di sé, tutto spregevole, nel rivolgere da quell'altezza lo sguardo, si poteva così passar sopra ad ogni suscettibilità della coscienza. In tal modo si andava intenzionalmente innalzando la torre della potenza regale sempre di più, fino alle nuvole, e vi si collocavano le ultime pietre della propria potenza.
Colore delle passioni.
Personalità come l'apostolo Paolo hanno per le passioni un occhi malvagio;
di esse conoscono solo quel che è suicidio, deformante e straziante- il loro
impulso ideale mira perciò all'annientamento delle passioni: nel divino
vedono la completa purificazione da esse. Ben diversamente da Paolo e dagli
Ebrei, i Greci hanno rivolto il loro impulso ideale precisamente alle
passioni e le hanno amate, elevate, rese auree e divinizzate; evidentemente
non si sentivano soltanto più felici nella passione, ma anche più puri e più
divini del solito. - E i cristiani? Volevano in questo ebraizzarsi? E ci
sono forse riusciti?
Che cosa deve l'Europa agli Ebrei? Diverse cose, buone e cattive, e soprattutto una cosa che tiene al tempo stesso del meglio e del peggio: il grande stile della morale, la terribilità e la maestà di esigenze infinite, di infiniti significati, tutto quanto il romanticismo e la sublimità delle problematiche morali e conseguentemente la parte più attraente, più capziosa e più ricercata di quei giuochi cromatici e di quelle seduzioni alla vita nel cui alone oggi balugina forse va spegnendosi il cielo della nostra civiltà europea, il suo cielo crepuscolare. Noi, artisti tra gli spettatori e i filosofi, ci sentiamo perciò grati agli Ebrei.
Non bisogna farci caso se sullo spirito di un popolo, che soffre e vuole
soffrire di febbre nervosa nazionale e di ambizione politica, passa ogni
sorta di nubi e di perturbamenti, piccole crisi insomma di istupidimento:
per esempio, tra i Tedeschi di oggi, ora la stupidità antifrancese, ora
quella antisemita, ora quella antipolacca, ora quella cristiano-romantica,
ora la wagneriana, ora la teutonica, ora la prussiana (si veda questi poveri
storici, questi Sybel e Treitschke con quelle loro teste pesantemente
imbacuccate) e comunque si vogliono chiamare, questi piccoli annebbiamenti
dell'intelletto e della coscienza tedeschi. Mi si perdoni se anche io,
facendo una breve rischiosa sosta in questa regione molto infetta, non sono
stato del tutto risparmiato dalla malattia e ho cominciato, come tutti, a
formulare pensieri su cose che non mi riguardano nulla: primo segno, questo,
dell'infezione politica. Per esempio, a proposito degli Ebrei: mi ascolti.
Non ho incontrato ancora nessun tedesco che abbia nutrito della benevolenza
per gli Ebrei; e per quanto possa essere assoluto il rifiuto del vero e
proprio antisemitismo da parte di tutti i politici e di tutti gli uomini di
buon senso, purtuttavia anche questa cautela e questa politica non si
dirigono, a un certo punto, contro il genere del sentimento stesso, ma
soltanto contro il suo pericoloso difetto di misura, e in particolare contro
l'espressione insulsa e scandalosa di questo smoderato sentimento su ciò non
è consentito prendere abbagli. Che la Germania abbia veramente abbastanza
Ebrei, che lo stomaco tedesco e il sangue tedesco abbiano difficoltà (e
questa difficoltà la sentiranno ancora a lungo) di smaltire anche soltanto
questo quantum di "ebraico" al pari degli Italiani, dei Francesi e degli
Inglesi, che ne sono venuti a capo in seguito a una digestione più energica:
è questa la chiara asserzione e il chiaro linguaggio di un istinto comune,
cui si deve prestare ascolto, e alla stregua del quale si deve agire. "Non
consentire l'accesso ad altri Ebrei!e specialmente a Oriente(anche dalla
parte dell'Austria)sbarrare le porte! " Così comanda l'istinto di un popolo,
la natura del quale è ancora tanto debole e indeterminata da poter
facilmente essere cancellata e facilmente venir estinta da una razza più
forte. E gli Ebrei sono senza dubbio la razza più forte, più tenace e più
pura che viva oggi in Europa; anche nelle condizioni più difficili essi
sanno raggiungere il proprio intento (meglio forse che in condizioni
favorevoli), in forza di talune virtù che si preferirebbe oggi marchiare
come vizi-grazie soprattutto a una fede risoluta che non ha bisogno di
vergognarsi dinnanzi alle "idee moderne"; essi si trasformano, quando si
trasformano, sempre soltanto allo stesso modo con cui l'impero russo fa le
sue conquiste- come un impero cioè che ha del tempo davanti a sé e non è di
ieri-: sulla base cioè del principio "più lentamente possibile!"Un
pensatore, che abbia sulla sua coscienza l'avvenire d'Europa, in tutti i
progetti che andrà facendo in se stesso su questo avvenire, dovrà tener
conto degli Ebrei e similmente dei Russi come di quei fattori che nel grande
giuoco e nella grande battaglia delle varie forze sono i più sicuri e i più
probabili di qualsiasi altro. Quel che oggi in Europa è detto "nazione" ed è
propriamente più una res facta che nata (e che anzi talvolta assomigli tanto
ad una res ficta et picta da poter essere scambiata con questa-)è in ogni
caso qualcosa in divenire, di giovane, di facilmente alterabile, non ancora
una razza, tanto meno, poi, qualcosa aere perennius, come lo è la razza
ebraica: queste "nazioni" dovrebbero accuratamente guardarsi da ogni focosa
concorrenza e ostilità!Risulta assodato che gli Ebrei, se volessero- o se vi
fossero costretti, come sembrano volerli costringere gli antisemiti-,
potrebbero già in questo momento avere la preponderanza, anzi il vero e
proprio dominio sull' Europa; ed è altrettanto certo che essi non lavorano e
non fanno piani a questo scopo. Per il momento invece vogliono e desiderano,
perfino con una certa importuna insistenza, essere assorbiti e risucchiati,
in Europa dall' Europa; anelano a essere finalmente stabili in un qualsiasi
luogo, tollerati e rispettati, e a porre termine alla loro vita nomade, all'
"ebreo errante" -; e si dovrebbe prendere in seria considerazione questo
incoercibile impulso (che forse esprime già un'attenuazione degli istinti
ebraici) e a fare a esso buona accoglienza: a tal uopo sarebbe forse utile
e giusto mettere al bando gli sbraitanti antisemiti del paese. Buona
accoglienza, ma con ogni cautela, con
Senso della scelta; all'incirca come fa la nobiltà inglese. E' un fatto
papabile che senza la minima difficoltà anche i campioni più forti e già
saldamente forgiati della nuova nazionalità tedesca potrebbero entrare in
contatto con essi, per esempio l'aristocratica ufficialità della Marca:
sarebbe un motivo di molteplice interesse vedere se non fosse possibile
unire e innestare all'arte ereditaria del comandare e dell'obbedire -nell'una
e nell'altra cosa il paese sovramenzionato è oggi classico - il genio del
danaro e della pazienza(e soprattutto un po' dello spirito e della
spiritualità di cui il luogo su accennatola grande penuria-). A questo punto
conviene che io tronchi la mia giovanile teutomania e solennità di discorso:
giacché sono già arrivato a toccare quel che mi sta seriamente a cuore, il
"problema europeo" come io lo intendo, la disciplina educativa di una nuova
casta governante d'Europa.
Esistono due specie del genio: quello che soprattutto procrea e vuole procreare e quello che si lascia volentieri fecondare e partorisce. Similmente tra i popoli geniali vi sono quelli ai quali è toccato in sorte il problema femminile della gravidanza e il segreto compito del plasmare, del maturare, del portare a compimento -i Greci, per esempio erano un popolo di questo tipo e così pure i Francesi -; e altri che devono fecondare e divenire causa di nuovi ordinamenti della vita - come gli Ebrei, i Romani e forse sia detto in tutta modestia i Tedeschi?-popoli torturati e istigati da febbri sconosciute e irresistibilmente incalzati fuori da se stessi, innamorati e cupidi di razze diverse (quelle cioè che si "lasciano fecondare")-e in pari tempo bramosi di dominio come tutti coloro che si sanno colmi di forze procreative e quindi di "grazia divina". Queste specie di geni si cercano come l'uomo e la donna; ma si fraintendono anche l'un l'altro come l'uomo e la donna.
(…)Gli Ebrei hanno realizzato quel prodigio del rovesciamento dei valori, grazie al quale la vita sulla terra ha acquistato per un paio di millenni una nuova e pericolosa attrattiva - i loro profeti hanno fuso in una sola parole come "ricco, "empio", "cattivo", "violento", "sensuale" e per la prima volta hanno dato un conio d'obbrobrio alla parola "mondo". In questo capovolgimento dei valori, in cui rientra l'uso della parola "povero" come sinonimo di "santo"e "amico", sta l'importanza del popolo ebraico: è con esso che comincia, nella morale la, rivolta degli schiavi.
Si sarà già intuito che i criteri di valutazione dei sacerdoti possono facilmente separarsi da quelli cavalleresco -aristocratici, fino diventare il loro opposto; e questo processo sarà particolarmente favorito ogni qual volta casta sacerdotale e casta guerriera, gelose l'una dell'altra, si affronteranno ostili e non vorranno accordarsi sul prezzo. I giudizi di valore cavalleresco-aristocratici presuppongono una prestanza fisica, una salute florida, ricca debordante, e insieme tutto ciò che ne condiziona il mantenimento, guerra, avventura, caccia, danza, tornei, insomma tutto quello ch comporta una vita attiva forte libera e serena. I criteri di valutazione sacerdotali- aristocratici hanno -come abbiamo visto- altri presupposti, e peggio per loro in caso di guerra! I sacerdoti sono, è noto, i nemici più crudeli- e per quale ragione poi? Perché sono i più impotenti. L'impotenza genera in loro un odio che arriva a diventare mostruoso e sinistro, spiritualissimo a tossico al massimo grado. Nella storia universale coloro che più degli altri sono stati capaci di odio e di genialità nell'odio sono sempre stati i preti - a paragone della genialità della vendetta sacerdotale, ogni altra dote intellettuale può appena essere presa in considerazione. La storia sarebbe ben sciocca cosa senza lo spirito che in essa hanno travasato gli impotenti, - e ecco subito l'esempio massimo. Tutto quello che si è fatto sulla terra contro gli "aristocratici", "i forti", "i signori", "i potenti" non meriterebbe nemmeno di essere citato in confronto a quello che gli Ebrei hanno fatto contro di loro; gli Ebrei, quel popolo sacerdotale che non ritenne di aver ricevuto la dovuta soddisfazione dai propri nemici e sopraffattori, se non dopo averne radicalmente ribaltato i valori cioè solo grazie ad un atto della più spirituale vendetta. Questo solo era adeguato a un popolo sacerdotale, al popolo della più latente sete di vendetta sacerdotale. Sono stati gli Ebrei che hanno osato ribaltare e mantenere, stringendo i denti dell'odio più abissale (l'odio della impotenza) l'equazione aristocratica di valore (buono= aristocratico=potente= bello=felice=caro agli dei), cioè "i miserabili solo sono i buoni, i poveri, gli impotenti, gli umili solo sono i buoni, i sofferenti, gli indigenti, i malati, i brutti sono anche gli unici a essere pii, beati in dio, solo a loro è concessa la beatitudine - là dove voi, al contrario, - voi nobili e potenti, voi sarete per l'eternità infelici, dannati e maledetti!"…Si sa chi ha ereditato questo sovvertimento di valore giudaico…A proposito dell'iniziativa mostruosa e oltremodo fatale assunta dagli Ebrei con questa dichiarazione di guerra, radicale più di ogni altra, mi sovvengo di quello che ho detto in altra occasione (al di là del bene e del male p. 118) - che cioè con gli Ebrei si inizia la rivolta degli schiavi nella morale: rivolta che abbiamo perso di vista solo perché essa - ha vinto…
Ma non lo capite? Non avete occhi per questa cosa che ha avuto bisogno di due millenni per arrivare alla vittoria?… E non c'è da meravigliarsene: tutte le cose lunghe sono difficili da vedere, da afferrare nel loro insieme. Questo è però accaduto: dal tronco di quell'albero della vendetta e dell'odio giudaico - dell'odio più profondo e più sublime e perciò stesso creatore di ideali, e sovvertitore di valori, di cui sulla terra non si è mai dato l' uguale - da questo tronco è nato qualcosa di altrettanto incomparabile, un nuovo amore, un amore più profondo e sublime di tutti gli altri - e da quale tronco sarebbe mai potuto nascere?…Non si creda però che esso sia cresciuto come vera e propria negazione di quella sete di vendetta, come l'antitesi dell'odio giudaico! No, è vero piuttosto il contrario! L' amore sbocciò dall'odio come sua corona, corona trionfale, che alla luce più pura e chiara e forte del sole si allargava sempre di più; e tesa agli stessi fini di quell'odio, cerca nel regno della luce e dell'altezza la vittoria, la preda, la seduzione, con lo stesso impeto con cui le radici di quell'odio affondavano sempre più profondamente e avidamente in tutto ciò che era profondo e malvagio. Questo Gesù di Nazareth, vivente vangelo dell'amore, questo " Salvatore" che porta ai poveri ai malati, ai peccatori beatitudine e vittoria - non ha rappresentato forse la seduzione nella sua forma più sinistra e irresistibile, la seduzione e la via tortuosa proprio verso quei valori e quel rinnovamento giudaico dell'ideale? Israele non ha forse raggiunto proprio per la via traversa di questo "Salvatore", di quest' apparente oppositore e risolvitore d' Israele, il fine supremo della sua sublime sete di vendetta? Non è forse proprio della misteriosa magia nera di una politica della vendetta realmente grande, di una vendetta lungimirante, sotterranea, che progredisce lentamente secondo calcolati programmi, il fatto che Israele stesso ha voluto rinnegare e inchiodare alla croce di fronte al mondo intero come qualcosa di mortalmente ostile, proprio lo strumento della propria vendetta, acciocché il mondo intero, e cioè tutti i nemici d' Israele potessero abboccare senza sospetto proprio a questa esca? E d'altra parte, chi mai potrebbe pensare, con tutta la massima sottigliezza di spirito ad un esca più pericolosa di questa? Qualcosa che per forza di attrazione, per forza ipnotica, inebriante e rovinosa possa essere simile a quel simbolo della " santa croce" a quel paradosso terrifico di un " Dio in croce", a quel mistero di una crudeltà inconcepibile, estrema, e di una auto crocifissione di Dio per la salvezza degli uomini? Certo è, perlomeno, che sub hoc signo Israele ha continuato da allora a trionfare con la sua vendetta e col suo sovvertimento di tutti i valori, su tutti gli altri ideali più nobili.
Concludendo - i due valori opposti " buono e cattivo" " buono e malvagio" hanno combattuto sulla terra una lotta terribile e millenaria: e per quanto sia ormai certo che il secondo valore ha da tempo superato il primo, non mancano certo luoghi in cui la lotta continua ancora e il suo esito non è certo. Potremo addirittura dire che nel frattempo essa è stata portata sempre più in alto, facendosi sempre più profonda, più spirituale; tanto che oggi non esiste segno forse più chiaro della "natura superiore", della natura più spirituale, che essere scissi in codesto senso, ed essere ancora realmente un campo di battagli per quei contrasti. Il simbolo di questa lotta, scolpito in una scrittura che è sopravvissuta, chiara e leggibile a tutta la storia dell'umanità, è "Roma contro Giudea, Giudea contro Roma". - sino ad oggi non si è dato alcun avvenimento più grande di questa lotta, di questa impostazione del problema, di questo contrasto mortalmente ostile. Roma vide nell'Ebreo qualcosa come la contronatura stessa, come monstrum ai suoi antipodi; a Roma l'Ebreo era ritenuto "reo convinto di odio contro tutto il genere umano": a buon diritto, in quanto si ha un diritto di riconnettere la salvezza ed il futuro del genere umano al valore assoluto dei valori aristocratici, dei valori romani. E gli Ebrei invece, quali erano i loro sentimenti verso Roma? Lo si indovina da mille segni; ma basta anche soltanto ripensare attentamente all' apocalisse giovannea, a questa che è la più squallida tra tute le invettive scritte che la vendetta abbia sulla coscienza. (Non si sottovaluti, infatti, la profonda logica dell'istinto cristiano che proprio su questo libro dell'odio scrisse il nome del discepolo dell'amore, quello stesso cui attribuì quel vangelo dell'amore estatico in ciò c' è una parte di verità per quanta falsificazione letteraria sia stata necessaria a questo scopo). I Romani rappresentavano, infatti, i forti e gli aristocratici come sulla terra non sono mai esistiti di più forti e più nobili, né tanto meno sono stati mai sognati: ogni loro vestigio, ogni loro iscrizione è una gioia, posto che si indovini che cosa scrive in essi. Gli Ebrei invece erano quel popolo sacerdotale, del risentimento par excellence, cui era innata una ineguagliabile genialità popolare - morale: basta paragonare infatti gli Ebrei ai popoli in possesso di qualità affini, ai Cinesi, o anche ai Tedeschi, per capire perfettamente che cosa è di primo e che cosa è di quarto grado. Chi di essi ha temporaneamente vinto, Roma o la Giudea? Ma non è possibile alcun dubbio: pensiamo davanti a chi, proprio a Roma, ci si inchina oggi, come davanti alla summa di ogni valore supremo - e non solo a Roma, ma quasi su metà della terra ovunque l'uomo sia stato reso mansueto o voglia diventarlo - dinnanzi cioè a tre Ebrei, come ben si sa, e dinnanzi a un'ebrea (dinnanzi a Gesù di Nazareth a Pietro il pescatore a Paolo tessitore di tappeti e alla madre del già citato Gesù, detta Maria). Questo è molto interessante: senza ombra di dubbio Roma è stata sconfitta. In ogni modo il Rinascimento rappresentò il risveglio grandiosamente inquietante dell'ideale classico, della maniera aristocratica di giudicare tutte le cose: allo stesso modo di chi si è risvegliato da una morte apparente, Roma stessa si mosse sotto il peso della nuova Roma giudaizzata costruita su quella antica, che aveva l'aspetto di una sinagoga ecumenica e che veniva chiamata "Chiesa"; ma immediatamente Giudea tornò a trionfare, grazie a quel movimento di ressentiment essenzialmente plebeo (tedesco e inglese) cui si da il nome di Riforma, con in più tutte le sue conseguenze la restaurazione della Chiesa - la restaurazione anche della vecchia cimiteriale quiete della Roma classica. Con la Rivoluzione Francese, Giudea tornò ancora a sconfiggere l'ideale classico, in un senso ancora più decisivo e profondo: l'ultima aristocrazia politica esistente in Europa, quella del XVII e XXVIII secolo francese, crollò sotto gli istinti popolari del ressentiment - e mai sulla terra si vide giubilo maggiore e più rumoroso entusiasmo! È vero che proprio al suo culmine accadde la cosa più mostruosa e inattesa: lo stesso ideale antico apparve in carne ed ossa e con splendore mai visto agli occhi e alle coscienze dell'umanità - e ancora una volta risuonò, più semplice, più forte e più penetrante che mai, di fronte alla antica fallace formula del privilegio dei più, propria del resseniment di fronte alla volontà di deteriorare, abbassare, livellare, di far scadere e scomparire l'uomo, la formula opposta, terribile e fascinosa, del privilegio dei pochi ! Come ultima indicazione dell'altra strada apparve Napoleone, l'uomo più singolare e più tardivamente apparso che sia mai esistito, e con lui l'incarnazione del problema dell'ideale aristocratico in sé - si faccia bene attenzione a che tipo di problema sia mai questo: Napoleone, questa sintesi di non- uomo e di super uomo …
La storia d' Israele è inestimabile come storia tipica di ogni
naturalizzazione dei valori naturali: accennerò a cinque fatti di essa. In
origine, soprattutto all'epoca del potere regio, anche Israele si trova nel
giusto, vale a dire nel naturale rapporto con tutte le cose. Il suo Javeh
era l'espressione della coscienza del potere, del piacere di sé, della
speranza riposta in sé: ci si attendeva da lui vittoria e salvezza, con lui
si confidava nella natura, che essa desse ciò di cui il popolo ha
bisogno-soprattutto la pioggia…Javeh era il Dio d'Israele e di conseguenza
Dio della giustizia: è questa la logica di ogni popolo che ha la potenza e
una buona coscienza di essa. Nel culto festivo si esprimono entrambi questi
aspetti dell'autoaffermazione di un popolo: esso è grato per i grandi
destini in virtù dei quali sopravanza gli ostacoli, è grato per quanto
attiene alla circolarità dell'anno e a ogni buona ventura nell'allevamento
del bestiame e nella coltivazione dei campi. - Questo stato di cose restò
ancora per lungo tempo l'ideale, anche quando venne tristemente spazzato
via: l'anarchia all' interno, gli Assiri all'esterno. Ma il popolo tenne ben
salda, come sua idealità suprema, quella visione di un re che è un buon
soldato e un giudice severo: la conservò soprattutto quel tipico
profeta(cioè critico e satireggiatore del momento) che fu Isaia. - ma ogni
speranza restò
inadempiuta. Il vecchio Dio non poteva più nulla di ciò che poteva una
volta. Lo si sarebbe dovuto abbandonare. Che cosa cadde?, si trasformò il
suo concetto - si snatuaralizzò il suo concetto: esso fu mantenuto a questo
prezzo. - Javeh, il Dio della " giustizia"- non fu più un' unità con
Israele, un' espressione del sentimento di sé, proprio di un popolo: restò
soltanto un Dio sottoposto a condizioni…..Il suo concetto diventava uno
strumento nelle mani di agitatori sacerdotali, che ormai interpretavano ogni
buona ventura come un premio, ogni calamità come castigo per una
disubbidienza Dio, per il "peccato": quella mendacissima maniera di
interpretare un presunto "ordinamento etico del mondo", con il quale, una
volta per tutte, è capovolto il concetto naturale di "causa" ed "effetto".
Soltanto si è eliminata dal mondo con la nozione del premio e del castigo,
la causalità naturale, si ha bisogno di una causalità antinaturale tutta la
restante in naturalità è ormai di conseguenza. Un Dio che esige al posto di
un Dio che aiuta, che dà consigli, che è in fondo la parola per esprimere
ogni felice ispirazione dell'animo e della fiducia in sé stessi…La morale
non è più l'espressione delle condizioni di vita e di sviluppo di un popolo,
non è più il suo più profondo istinto vitale, bensì è divenuta astratta, è
divenuta l'opposto della vita- la morale come radicale pervertimento della
fantasia come "malocchio" per tutte le cose. Che cos' è la morale ebraica,
che cos'è la morale cristiana? Il caso defraudato della sua innocenza;
l'infelicità contaminata con il concetto di "peccato"; - lo stato di
benessere come pericolo, come "tentazione"; il malessere fisiologico
intossicato dal verme della coscienza…
Il concetto falsificato di Dio; il concetto falsificato della morale- la
classe sacerdotale ebraica non si è fermata a questo. Non si poteva usare
l'intera storia d' Israele: e allora basta con essa!-Questi sacerdoti hanno
portato a termine una prodigiosa falsificazione a documentare la quale ci
sta dinanzi una buona parte della Bibbia: con uno scherno senza pari per
ogni tradizione, per ogni realtà storica, hanno tradotto il passato del loro
proprio popolo nell'elemento religioso, vale a dire hanno fatto di esso uno
stupido elemento salvifico di colpa contro Javeh e di castigo, di devozione
verso Javehe e di ricompensa. Avvertiremmo molto più dolorosamente questo
atto, quanto mai obbrobrioso, di falsificazione storica, se
l'interpretazione ecclesiastica della storia, per millenni, non ci avesse
reso quasi ottusi per le esigenze della rettitudine in historicis.
E filosofi secondarono la Chiesa: la menzogna dell' "ordinamento etico del
mondo" si intreccia persino all'intero sviluppo della filosofia moderna. Che
cosa significa ordinamento etico del mondo? Che esiste, una volta per tutte,
una volontà divina, in ordine a quel che l'uomo deve fare o non fare; che il
valore di un popolo, di un individuo si misura dalla sua maggiore o minore
obbedienza alla volontà di Dio; che nei destini di un popolo, di un
individuo, la volontà di Dio si dimostra dominante cioè punitrice e
rimuneratrice, a seconda del grado di obbedienza. - La realtà
messa al posto di questa miserabile menzogna, è la seguente: una specie
parassitaria di uomini che prospera unicamente a spese di tutti i sani
organismi vitali, quella dei sacerdoti, abusa del nome di Dio: chiama regno
d'Iddio uno stato di cose, in cui il sacerdote determina il valore delle
cose; chiama "divina volontà" i mezzi in virtù dei quali un tale stato viene
raggiunto o mantenuto in piedi; con un freddo cinismo misura i popoli, le
epoche gli individui secondo che essi abbiano giovato o contrastato alla
strapotenza dei preti. Guardiamoli all'opera: nelle mani dei sacerdoti ebrei
la grande epoca della storia d'Israele divenne un'età di decadenza;
l'esilio, la lunga sventura si trasformò in un eterno castigo per quella
grande epoca- un'epoca in cui il sacerdote era ancora nulla…
Delle possenti figure della storia d'Israele, realizzatesi in piena libertà,
essi hanno fatto, secondo il bisogno, persone grettamente servili e bigotte
oppure degli " atei"; hanno semplificato la psicologia di ogni grande
avvenimento nella formula idiota dell' "obbedienza" o "disobbedienza" verso
Dio. - ancora un passo avanti: la "volontà di Dio" (cioè le condizioni per
conservare la potenza del sacerdote) deve essere conosciuta - a questo scopo
è necessaria una "rivelazione". Più chiaramente: si rende necessaria una
grande falsificazione letteraria, viene scoperta una " Sacra Scrittura"-
essa è resa di pubblica ragione con ogni ieratica magnificenza, con giorni
di penitenza e grida lamentose a proposito del "lungo peccato". La volontà
di Dio era stabilita da un pezzo: tutta la disgrazia sta nell' essersi
estraniati dalla Sacra Scrittura…già a Mosè si era rivelata la "volontà di
Dio"…Che cos'era successo? Con rigore e pedanteria, fino ai grandi e piccoli
tributi che gli si doveva pagare (non si dimentichi i saporitissimi pezzi di
carne: giacché il prete è un divoratore di bistecche), il sacerdote aveva
formulato una volta per tutte, quel che vuole avere, "quel che è la volontà
di Dio"…Da allora in poi tutte le cose della vita sono ordinate in modo che
il prete è ovunque indispensabile; in tutti i naturali eventi della vita,
nascita, matrimonio, malattia, morte, per non parlare del "sacrificio" ("la
cena"), interviene il santo parassita, per snaturalizzarli-nel suo
linguaggio: per "santificarli"…Ci si deve infatti rendere conto di questo:
ogni costume naturale, ogni naturale istituzione (Stato, ordinamento
giudiziario, matrimonio, cura dei malati e dei poveri), ogni esigenza
suggerita dall'istinto della vita insomma tutto ciò che ha in sé il suo
valore, viene sistematicamente destituito di valore, contrapposto al valore
dal parassitismo del prete (o dell' "ordinamento etico del mondo"): c'è alla
fine bisogno di una sanzione- occorre una potenza dispensatrice di valore,
che neghi in ciò la natura e proprio in quest'unico modo crei un valore…il
prete svalorizza, dissacra la natura: in generale è a questo prezzo che egli
esiste. - La disobbedienza verso Dio, cioè verso il prete, verso "la legge"
riceve ora il nome di "peccato": i mezzi per nuovamente "riconciliarsi con
Dio", sono, come è logico, mezzi con i quali l' assoggettamento al prete è
semplicemente assicurato in maniera ancor più radicale: soltanto il prete
"redime"…Considerando la cosa psicologicamente in ogni società organizzata
su basi sacerdotali i "peccati" diventano indispensabili: essi sono i
caratteristici appigli della potenza, il prete vive dei peccati, per lui è
necessario che si "pecchi"…Principio supremo: " Dio perdona a chi fa
penitenza"-o più chiaramente: a chi si sottomette al prete.
In complesso la moralità dell'Europa è ebraica - dai Greci continua a dividerci una profonda estraneità. Ma gli Ebrei, per quanto hanno disprezzato l'uomo e l'hanno sentito cattivo e spregevole al tempo stesso, hanno, più di ogni altro popolo, collocato il loro dio in sempre più immacolate lontananze: l'hanno cibato di tutte le cose buone e nobili che albergano in petto all'uomo - e questo, che è il più singolare di tutti i sacrifici ha scavato gradualmente un abisso, sentito come terribile tra dio e l'uomo. Solo presso gli Ebrei era possibile, anzi necessario, che alla fine un essere si gettasse in tale abisso - e questi non poteva essere se non il "dio" al quale soltanto si attribuiva la nobiltà: l'uomo stesso che sentì di essere il mediatore, dovette necessariamente sentirsi dio, per porsi questo compito di mediatore. Dove l'abisso era meno grande, un uomo poteva, senza essere del tutto sovrumano, bensì semplicemente come eroe, porsi nel mezzo ed emanare quel senso di gioia che forse fu il massimo per l'umanità antica: percepire l'armonia tra la divinità e l' uomo, il passaggio dal dio all'uomo
In Europa gli Ebrei sono la razza più antica e la più pura. Perciò la
bellezza della donna Ebrea è la più nobile.
È possibile interessarsi di questo impero tedesco? Dov'è il pensiero
nuovo? Forse è solo una nuova combinazione di potenza? Tanto peggio, se non
sa che cosa vuole. Pace e lasciar vivere non è una politica per la quale io
possa avere rispetto. Dominare e portare alla vittoria il pensiero supremo -
l'unica cosa che potrebbe interessarmi nella Germania. Che m'importa che ci
siano o non ci siano gli Hohenzollern? Il piccolo spirito inglese è oggi il
grande pericolo sulla terra. Nei sentimenti dei nichilisti russi vedo
un'inclinazione alla grandezza maggiore che in quelli degli utilitaristi
inglesi.
Una mescolanza della razza slava e tedesca - abbiamo assolutamente bisogno
anche degli uomini più abili nel far denaro, gli Ebrei, per conquistare il
potere sulla terra.
Per quanto riguarda gli adolescenti che rendono omaggio a Wagner, essi stanno generalmente male quanto a musica. (uno di essi mi disse addirittura una volta che Wagner riunisce in sé tutte le cose buone di oggi: è antisemita, vegetariano e aborre la vivisezione). Gli adolescenti wagneriani, una specie sotto molti aspetti assai riconfortante e nobile ammirano in Wagner (…) prima di tutto il maestro delle grandi parole e dei grandi gesti, il difensore di tutti i sentimenti gonfi, di tutti gli istinti sublimi, poi l'ardito innovatore e spezzatore di catene nella lotta e nell'opposizione alla vecchia più severa, forse più limitata scuola d'arte, lo scopritore di nuove vie, nuove prospettive, nuovi orizzonti nuove profondità e altezze. Ultima cosa, ma non la più trascurabile: questa gioventù tedesca ammira in Wagner la dote del comando, la capacità di comandare fragorosamente, di fondarsi su se stesso, di farsi centro di tutto, di dire cocciutamente "sì" a se stesso, e sempre in nome del "popolo eletto" dei tedeschi! - Insomma, il tribuno del popolo e il demagogo che è in Wagner. Che cattivo gusto, anzi orribile gusto vi sia in tutto questo "mettere in scena sé stesso" di Wagner, è una cosa che tali giovani entusiasti non vedono ancora per niente: la gioventù ha certo il diritto del cattivo gusto, è il suo diritto. Ma se si vuol vedere dove l'innocenza e l'irriflessiva volonterosità dei giovani possono essere condotte e sviate da un vecchio acchiappatopi girovago, si dia un'occhiata a quella palude letteraria dalla quale infine l'invecchiato maestro ama cantare (" cantare " è la parola giusta?) con i suoi "ragazzi". (…).
Contro l'opposizione tra ariano e semitico. Dove le razze sono mescolate, c'è la fonte di una grande cultura.
Recentemente mi ha scritto un certo signor Theodor Fritsch di Lipsia. In Germania non c'è nessuna banda di persone più impudenti e stupide di questi antisemiti. Per ringraziamento gli ho inviato per lettera un bel calcio. E questa canaglia osa pronunciare il nome di Zarathustra! Schifo, schifo, schifo!
I brani sono tratti da:
Nietzsche: Opera omnia, edizione Adelphi a cura di G. Colli e M. Montinari