UNA SINTESI DE "LA CHIMERA" di Sebastiano Vassalli

Sebastiano Vassalli(SB) scrive nel 1990 "La Chimera"; è un romanzo storico ambientato tra la fine delle guerre di religione e l’inizio della guerra dei Trent’anni. L’Europa e l’Italia attraversano un periodo di relativa pace, caratterizzato però da manifestazioni di intolleranza religiosa. E’ un’epoca di grandi tensioni, che vede anche l’opposizione della Chiesa nei confronti dell’evolversi della scienza. Grandi personaggi come Giordano Bruno(SB) e Galileo Galilei(SB), furono vittime dell’intolleranza religiosa, di una Chiesa sostenitrice di una concezione per cui la scienza era subordinata alla metafisica, e di verità considerate fino ad allora assolute ed incontrastabili e che la scienza si accingeva a mettere in discussione. E’ anche un’epoca di grandi fermenti da cui si formerà l’età moderna, fenomeni che la cultura ufficiale non avvertiva minimamente.

Il luogo in cui si svolgono i fatti è Zardino, villaggio padano del Seicento, cancellato ormai dalla storia. Qui si consuma la tragica vita di Antonia, un’esposta adottata da una famiglia di contadini della bassa novarese, che per il solo fatto di essere bella ed un po’ insofferente delle autorità e delle consuetudini, è accusata e ingiustamente condannata dal tribunale dell’Inquisizione (ST)al rogo come strega(D).

Antonia, schiacciata dall’ordinaria violenza e dal pregiudizio della gente, diviene facile bersaglio di un mondo in cui qualsiasi infrazione alla regola genera sospetti o addirittura terrore. Contro Antonia si mette in moto una macchina mostruosa, fatta di credenze leggendarie e di maldicenze quotidiane, di liti e di casi fortuiti, di invidie e paure, sotto il controllo di uno spietato apparato repressivo: il Sant’Uffizio(D). C’era bisogno di una vittima sulla quale la gente potesse scaricare ogni superstizione e paura; tutti erano convinti che con la morte della "strega" sarebbe cessata ogni forma di tribolazione e sofferenza che nel ‘600 erano all’ordine del giorno.

L’epoca del romanzo è caratterizzata dall’ingiustizia e dalla violenza che si manifesta nella persecuzione dei vagabondi e degli eretici(D), nella caccia alle streghe, ma anche all’interno delle mura domestiche e tra i vicini di casa. Le discordie potevano nascere da un nonnulla, ma continuare poi per anni ed anni, e a volte tramandarsi persino di generazione in generazione. Ovunque nelle campagne all’inizio del Seicento la notte del sabato era una notte maledetta: infatti l’indole violenta della gente dell’epoca impediva alle donne di uscire di casa; ma anche all’interno delle mura domestiche non potevano considerarsi al sicuro, essendo soggette agli abusi dei padri e dei mariti visto che il lavoro dei campi era duro anzi durissimo e gli svaghi erano pressoché inesistenti. Il romanzo presenta diversi ed inconcepibili esempi di crudeltà, come quello di Biagio detto "lo scemo", un ragazzo di circa 13 anni nipote e servo delle gemelle Borghesini. Queste entrambe nubili, non nutrivano nessun affetto per il nipote che era stato loro "regalato" da piccolo da un loro fratello di Pavia, ma anzi lo sfruttavano solo per i lavori più umili. Il povero Biagio in pochi anni diventò grande e grosso, ma il suo cervello non crebbe affatto; era molto mite e dolce. Solo Antonia non rideva di lui, gli si avvicinava quando le sorelle non potevano vederla, lo prendeva per mano, gli insegnava i nomi delle cose e qualche volta gli dava da mangiare. Biagio si innamora di Antonia e inizia a trascurare il lavoro, e per questo motivo viene evirato dalle sue zie.

Potenziale vittima di violenza può essere chiunque in un periodo in cui, punti di riferimento quali lo Stato e la Chiesa vengono meno. L’ordine giudiziario era incurante dei problemi quotidiani che affliggevano i ceti più bassi della popolazione: come liti tra vicini, vendette, abusi sulle donne, furti e persino omicidi; i tribunali dell’epoca avevano altre faccende a cui pensare. La Chiesa era solo un’istituzione e i suoi preti erano tutt’altro che vicini ai drammi dei singoli e dei poveri.

Vassalli ha una visione prettamente negativa della Chiesa del ‘600: essa brama di affermare il proprio potere soprattutto sul terreno ideologico rinvigorito dal recente Concilio di Trento (1545) senza curarsi però tanto dell’educazione morale del popolo quanto invece si preoccupava della riscossione delle indulgenze (ST). La corruzione è fenomeno normale fra gli stessi preti del contado che quando si trovano in città hanno rapporti con prostitute; una di queste è Rosalina, un’esposta della Pia Casa di Novara che racconta di questo scandalo ad Antonia.

Questa potente istituzione non si preoccupa nemmeno della povera gente come i risaroli. Erano costoro montanari della valle sopra Varallo che ogni anno scendevano spontaneamente in pianure a fare la stagione del riso per guadagnare tanti soldi da passare poi l’inverno senza patire la fame, o quasi. Si trovavano in una condizione alquanto disagiata, infatti il lavoro nelle risaie era tra i più disumani che ci fossero nella campagna italiana, per l’ambiente e il modo in cui si lavorava, piegati nell’acqua, spesso picchiati come schiavi e sottoposti ad ogni genere di angherie. Non avevano alcun diritto, non quello di vivere e tanto meno quello di morire in pace.

Uomini di Chiesa quali il vescovo Bascapè, Don Michele, Don Teresio, l’inquisitore Manini, non si fanno alcuno scrupolo a rompere il fragile equilibrio di quel mondo, pur di affermare il loro potere e la loro autorità. Tra questi il più "amato" è sicuramente Don Michele, poiché la gente con lui poteva fare tutto ciò che voleva, in quanto egli si occupava solo ed esclusivamente del commercio delle erbe medicinali e dei bachi da seta. Con l’arrivo al paese di Don Teresio invece, prete "post-conciliare" inviato nel paese dal vescovo per rimettere in ordine le cose, la situazione cambia totalmente. Infatti egli basandosi sui cambiamenti apportati dal Concilio di Trento, stabilisce che di tutta la corruzione ed il disordine che avevano regnato fino ad allora, non ci sarebbe restata traccia. Ma il suo ordine è l’ordine del rigore, dell’imposizione, della paura dell’inferno, un ordine apparente che non coinvolge i cuori.

Un personaggio sicuramente importante è il vescovo Bascapè, figura emblematica di un’epoca ormai lontana nel tempo. Viene favorito dalla fortuna nella prima parte della sua vita, mentre nella seconda tutto cambia. Infatti con la morte di Gregorio XIV sale sul trono di San Pietro Ippolito Aldobrandini che in un batter d’occhi toglie a Bascapè tutto ciò che ha e lo spedisce ad istruire anime a Novara; vendicandosi così del vescovo che qualche tempo prima aveva osato contraddirlo davanti al Papa, su un discorso riguardante Carlo Borromeo (SB). Isolato e umiliato, egli idealizza la propria sconfitta in una sorta di permanente esaltazione delle proprie motivazioni spirituali rifiutando la realtà. Morto nell’animo, Bascapè continua a combattere, non dà peso all’accaduto: anziché cambiare il mondo partendo da Roma come aveva previsto, lui lo avrebbe cambiato partendo da Novara.

Nella vicenda di Antonia subentra anche la figura dell’inquisitore Manini, uomo di Chiesa che è determinato a portare a termine il processo nel modo più serio possibile e per questo con il ritorno in città di Bascapè è costretto ad anticipare i tempi del provvedimento giudiziario poiché il vescovo, uomo molto curioso, avrebbe "ficcato il naso" intralciando i lavori del processo. Ordina così, senza scrupoli, di usare la tortura per far confessare prima la strega.

Questo tipo di violenza nel ‘600 era di uso comune, una normale pratica giudiziaria, sia nella fase dell’indagine, che nel sistema delle punizioni.

In questa Chiesa dove la corruzione e la caduta dei principi morali predominano, il Vassalli introduce la figura del cardinale Federigo Borromeo, cugino del Beato Carlo, il quale tentava di aizzarlo contro i nemici della Chiesa, con i quali poi il cardinale andava a pranzo per far politica e restare in pace. Proprio per questo Federigo viene considerato un figlio dei tempi ed un gran politico.

Di Federigo Borromeo ce ne parla anche il Manzoni(SB), ma nel suo romanzo "I Promessi sposi" il personaggio è presentato diversamente. Costui vive intensamente la regola cristiana, sempre pronto e disponibile verso i bisognosi. Tra i suoi successi, la più importante è sicuramente la conversione dell’Innominato, uomo fino a quel momento crudele e "senza Dio". L’eloquenza di Federigo penetra a poco a poco nell’anima dell’Innominato, la vince infondendo umiltà e fiducia. La vita del cardinale è sin dalla gioventù una dedizione completa al bene del prossimo, una lotta contro la cattiveria e la noncuranza del secolo.

Il Manzoni, sia in lui che in Padre Cristoforo, testimone di carità, vede il fondamento della Chiesa, l’unica struttura capace di svolgere una funzione positiva in questo secolo in cui tutto l’indirizzo della società è errato, che è il secolo delle forme e delle apparenze dove anche i migliori, senza essere scellerati, finiscono con l’essere i servitori del Diavolo. Analizzando quest’opera si nota chiaramente che il Vassalli è l’antimanzoni, e lo riscontriamo proprio nella diversa concezione che i due scrittori hanno del secolo. Il Manzoni scrive la storia milanese del diciassettesimo secolo in perfetto stile seicentesco e dà una lettura religiosa degli eventi. Per lui raccontare è come una guerra contro il tempo in quanto chiama a nuova vita fatti ed eroi del passato. Per il Vassalli invece è il recupero della dimensione storica nel tentativo di rinnovare quello spazio d’immaginazione e di verità in cui dar nuova vita a ciò che è stato cancellato e dimenticato per favorire la nascita del nostro mondo. La Chimera invece è il romanzo di un mondo che si pone al di fuori della storia, registrando una sostanziale ininfluenza del mondo politico sul mondo contadino della bassa. Il romanzo inizia e termina con una premessa ed un congedo, entrambi intitolati "Il nulla". Antonia è una trovatella della cui origine s’ignora ogni cosa. Dopo il supplizio anche le sue ceneri finiranno nel nulla, disperse da un nubifragio. Tutto si origina nel nulla e ritorna nel nulla.

Relatori:
Daniele Colcelli, Monia Guerrini, Laura Pellegrini, Eleonora Pruscini.